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recensione di Cusatelli, G., L'Indice 1988, n. 6
Il "caso Schnitzler" - come si potrebbe chiamarlo, per le oscurità implicate - si propone, con questa scelta vastissima, nella gamma completa delle sue articolazioni, dalle scritture narrative al teatro, dagli aforismi alle prove critiche. E merita, in un'occasione simile, d'essere rimeditato.
Punto di forza della sistemazione storico-letteraria avviata dalla formula del "mito asburgico" aveva ottenuto, nel '68, al tempo dei libro decisivo di Magris e del saggio di Chiarini su 'Anatol', una connotazione quasi esclusivamente sociologica. Entrambi i germanisti, seppure da prospettive diverse, ne avevano indicato le strutture portanti in certi inconfondibili archetipi del vivere viennese del fine-secolo: rispettivamente, il 's(sses Madel' e l'Anatol, appunto, cioè la ragazza del sobborgo, ingenua e rassegnata portatrice d'amore, e il giovin signore libertino. Poi, con la rivelazione, nel '75, del "Ritorno di Casanova", era subentrata l'ipotesi d'una lettura in chiave psicologica, se non psicoanalitica, intanto che l'attenzione si spostava via via dalla produzione teatrale, inizialmente privilegiata per la sua plasticità, a quella narrativa, sviluppatasi come scavo anziché come inchiesta. Adesso, grazie al nuovo intervento di Farese - che, degli studi schnitzleriani e non solo in Italia, è il capofila - siamo arrivati al bilancio. Ma ci accorgiamo subito che dovrà essere un bilancio mobile, fitto di suggestioni ulteriori, più operativo che conclusivo: tale, insomma, da tenerci sempre impegnati.
Si sa che le scelte comportano, da parte di chi deve affrontarle, una strenua verifica delle opinioni (in ciò ne consiste la vera utilità). Farese non sfugge alla norma, e Così, nell'arco molto generoso del volume (un vero avvenimento per la bibliografia italiana di Schnitzler), assegna la sezione più cospicua al narratore. È la conseguenza dell'avere identificato nel monologo interiore, nel "parlare pensato", il raggiungimento peculiare dello scrittore rispetto alla situazione non solo viennese (riferimenti d'obbligo, ma devianti, perché interni a tutt'altra problematica, Joyce e la Woolf); ma non implica - va sottolineato - la svalutazione di quello che fu, per decenni, agli occhi del pubblico e della critica, il ruolo principe dell'autore di Girotondo. Proprio interiorizzando il monologo, infatti, Schnitzler lo aveva trasformato in un dialogo "speciale", e aveva scoperto un continente ancora inesplorato, intermedio tra approccio narrativo ed approccio drammaturgico: il luogo medesimo della convergenza con Freud, casuale, certo (come risulta dall'epistolario), ma altamente suggestiva, in quanto testimonianza di un'estrema, estenuata ricerca di globalità, nel binomio letteratura-scienza, della cultura del finis Austriae.
In termini storico-letterari la scelta di Farese, ordinata secondo la successione cronologica dei testi, consente, d'altronde, di riconoscere a Schnitzler, dal principio alla fine, un'organicità di sviluppo che appare insolita nel panorama coevo. Il sottotitolo "Dalle carte di un medico" apposto al racconto più antico, "Il figlio" (1889), lo fa tutt'uno con "Morire", la prima prova, tre anni dopo, della misura e del ritmo che sarebbero divenuti specifici di Schnitzler, ed imposta precocemente, ancora nel quadro della discussione della poetica del naturalismo, l'esigenza di realizzare la tranche de vie come coincidenza degli opposti, come liberazione fantastica, nello stile, dell'assunto analitico e classificatorio della scienza: lo stesso programma che non stentiamo a riconoscere, più sicuro, nelle realizzazioni della maturità, anche teatrali - per esempio, in "Professor Bernhardi", del '12, - o addirittura, ad intermittenza, in quelle dei misconosciuti anni Venti. Un programma, dunque, perseguito, per tanti anni e contro tante delusioni, senza cedimenti; e che Schnitzler sintetizzava, nel '27, con una formula illuministica, utile a distanziarlo simmetricamente dagli abusi dell'immaginario e del positivo: "La profondità di pensiero non ha mai chiarito nulla; la chiarezza di pensiero guarda più profondamente nel mondo".
Si è parlato di misura, ma non sembri ingenuo e capzioso se il termine è adoperato qui nel significato comune di estensione. Non è irrilevante, infatti, che alle 91 pagine di "Morire" corrispondano le 120 del "Dottor Gräsler medico termale" (1911-14), le 110 di "Fuga nelle tenebre" (1912-17), le 108 del "Ritorno di Casanova" (1915-17), le 86 di "Doppio sogno", oppure, su scala minore, che alle 33 pagine del" Sottotenente Gusti" (1900) corrispondano le 67 della "Signorina Else" (1923). Sono dati da riferirsi, è vero, alla storia esterna dei testi, pubblicati, a puntate, su riviste e quotidiani (onde, per quelli più lunghi del primo gruppo, anche la suddivisione in capitoli); ma il fatto che restino sempre costanti testimonia l'adozione sistematica di un modulo non meramente quantitativo ed invece implicante un'intenzione di poetica.
Si è parlato di ritmo, ed è opportuno chiarire che il termine vuole alludere alla scansione, più o meno rapida e variamente articolata, dei nodi del 'plot' (con la connessa alternanza di spazi dedicati agli eventi e alla relativa riflessione). Al proposito, è rimarchevole che quest'alternanza caratterizzi solo il primo gruppo, quale divaricazione tra il reale, vero o presunto, e la sua interiorizzazione e che invece, non emerga quasi mai nel secondo, quello dei testi d'avanguardia, dove finisce inghiottita e dissolta nel flusso indifferenziato del monologo interiore.
Aiuta ad una conclusione il riflettere sulla terminologia letteraria ed editoriale del tempo. Una narrazione associata strettamente all'intreccio e funzionale ad una fruizione sociale ed edonistica del prodotto letterario, si chiamava, specie nelle pubblicazioni periodiche, novella ("Novelle"); una narrazione "Assoluta", impegnata verso la realizzazione di valori formali, racconto ("Erzählung"). Ora, le novelle di Schnitzler, denominate così per ossequio all'uso, denunciano, in realtà, l'esaurimento di quel genere, o sottogenere, in quanto ne eludono lo spirito mondano, di semplice intrattenimento, e vanno a confluire, con significativo innalzamento, nella tipologia "maggiore", differenziandosi - sono appunto i due gruppi identificati - in romanzi brevi, come li chiameremmo oggi, e in veri e propri racconti. Esiti che corrispondono - con l'interessante esclusione del genere più compromesso, il romanzo, due volte mancato ("Verso la libertà", 1908; "Therese", 1928) - ad uria rifondazione del sistema narrativo; e che collocano Schnitzler sulla delicata cerniera tra la letteratura della certezza (la proposta del realismo) e la letteratura del dubbio (in "Hofmannsthal, la sindrome di Lord Chandos"), confermando la forte carica rappresentativa del suo ruolo.
Se le tecniche di scansione si configurano come l'apporto primario di Schnitzler, è importante che esse improntino anche la produzione teatrale Questa utilizza, inetti, ai suoi vertici espressivi, una formula monodica segmentale, l'atto unico ("Einakter", a volte isolato, più spesso replicato a formare composizioni polittiche: è il caso di "Anatol" ( 1882-92), sede privilegiata della tematica viennese, che prese corpo, lungo parecchi anni e rappresentazioni parziali, dalla proliferazione di simili segmenti; ma anche di "Marionette" (1901), su 3 "Einakter", di "Ore vive" (1902), su 4, di "Commedia delle parole", su 3, ben più tarda quest'ultima (1909-14), a conferma, come abbiamo visto per la prosa, della stabilità del modulo. Mentre lo scacco del romanzo trova riscontro nella debolezza prevalente delle prove teatrali costruite sulla tradizionale ripartizione in atti, che induce meccanicità e cadute di tensione (ma si deve salvare "Professor Bernhardi", tenuto insieme dalla compattezza del protagonista, che Farese, interprete sempre acuto definisce "l'antieroe della rassegnazione in quanto esprime col suo comportamento l'impossibilità di trasformare il mondo e l'impotenza del singolo di fronte alla brutalità dell'esistenza in una società ostile").
Neppure "Einakter", ma "Dialoghi", si chiamano, al massimo della sperimentazione, gli anelli della sconcertante catena di "Girotondo" (1896-97). Qui l'affermazione del teatro è raggiunta, dunque, per la via della drastica confutazione delle sue convenzioni, e l'affermazione dell'eros, cardine simulato dell'intreccio, si realizza a condizione del suo totale coincidere con la morte. Schnitzler, a questo punto, non inscena n‚ racconta: constata (e insieme, immagina di constatare).
Narratore e drammaturgo viennese, Schnitzler è considerato uno dei rappresentanti più notevoli della cultura mitteleuropea. Il Meridiano, che propone un'amplissima, significativa scelta della sua produzione (racconti e romanzi, il teatro e una sezione finale di Aforismi), è curato e tradotto da Farese, tra i più autorevoli studiosi italiani di Schnitzler nonché autore di una sua fortunata biografia.
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