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Ci fu anche qualcuno capace di deridere Socrate, di appenderlo in alto seduto su una cesta e fargli scrutare il cielo come un romantico mezzo ritardato. C'era la tradizione da difendere, le nuove filosofie creavano scompiglio, sconcerto, allora meglio picconarle con talentuosa sagacia creativa. Il genio di Aristofane dimostra che la parola può rovesciare tutto: l'incanto di momenti importanti può avere il suono di ozioso perditempo, le sentite sottigliezze di alcune riflessioni possono storcersi in gravi pericoli senza uscita, la forza e la grandezza di alcuni valori sinceramente difesi un'astuzia retorica con cui si vuol persuadere e sedurre le plebi ignare. E' questo lo sfondo dialettico che tiene in piedi tutta la vicenda, meraviglia senza tempo che apre sempre la mente fra sorrisi puntuali e amarezze toccanti. Un padre manda un figlio al Pensatoio Socratico certo che il medesimo figlio possa trarre esempio da quelle virtuose parole, istruirsi, emendarsi dai suoi affari pieni di debiti, migliorarsi nell'anima. Andrà tutto al contrario, inevitabilmente. E le nuvole, metafora che serve ad Aristofane per costruire la sua forza critica (ma anche di poesia) in tutto il testo, sono appunto la prima negatività che spezza le reni di ogni filosofia socratica. Passano per nutrici dell'intelletto (per Socrate), e invece sono soltanto muse evanescenti che immettono il veleno di vuote insulsaggini scompigliando ogni serenità. Stupendo scontro. Quale delle due letture ha buon gioco? Fra le candide mani della farsa si aprono unghiate tremende in grado di assestare graffi non lievi. E' sospettoso pensare? Meglio diffidare da elucubrazioni e sofismi troppo astratti? O inseguirli come il vero percorso di un cuore veramente degno? Con chi stia l'autore è facile intuirlo, ma ogni scena che leggiamo è un dono di potente bravura. E oggi sono ancora possibili un Discorso Migliore e uno Peggiore? La risposta è in quest'opera senza tempo e senza rivali. Vero capolavoro.
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