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Anno edizione: 1997
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Niente di che, si lascia leggere ma non riesce ad appassionare. A chi piacciono storie ambientate a belfast consiglio di leggere eureka street
Recensioni
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recensione di d'Erme, E., L'Indice 1997, n. 6
"Nel 1969 le strade cominciarono a prendere vita per Victor (. . . ) Unity Flats, Kashmir Road. I nomi evocavano vetri rotti, fori di pallottola cerchiati col gesso, travi carbonizzate zuppe di pioggia. Sentiva la città diventare un diagramma di violenza che convergeva su di lui. Victor sviluppava il senso dei nomi".
La toponomastica potrebbe diventare un genere letterario, forse lo è già. Sarebbe riduttivo pensare che i nomi dei luoghi, e il loro studio, sia solo un campo della geografia, un passatempo per cartografi o un aspetto della letteratura di viaggio. La toponomastica si è ormai trasformata in una "poetica dei luoghi". Ciò che gli inglesi chiamano "naming the names" non è un gioco, né un vezzo letterario. È invece un potente strumento stilistico. In italiano la traduzione letterale, "nominare i nomi" (sgradevole per l'allitterazione), rende più di ogni altra la vera essenza di questa pratica magica e scaramantica. Parliamo infatti della prerogativa dei luoghi di essere chiamati, elencati, menzionati, detti, evocati, denominati, ricordati. Nomi di strade, piazze, case, ritrovi, incroci, che vivono una loro vita propria. Nomi carichi di allusioni, di fatali sottintesi, come quelli delle strade di Belfast. Il loro elenco è un sunto di storia: Abyssinia Street, Balaclava Street, Bosnia Street, Belgrade Street, Bombay Street, Beirut Street, Berlin Street, Crimea Street, Odessa Street, Palestine Street. . . Chi parla o scrive di Belfast non può sottrarsi al fascino oscuro che essi emanano.
Eoin McNamee, l'autore del romanzo "Resurrection Man*, ne ha fatto la sua cifra stilistica. Pochi autori irlandesi sono rimasti immuni alla loro malia, dal poeta Tom Paulin al drammaturgo BrienFriel, dal cantante Van Morrison alla scrittrice Anne Devlin. In un racconto della Devlin, intitolato significativamente "Naming the Names", nell'intento di coprire l'identità di alcuni membri dell'Ira, la protagonista si barrica dietro all'ossessiva elencazione dei nomi delle strade di Belfast. L'evocazione toponimica - esito ultimo del "dire" (sagen) rilkiano - sembra infine restituire a quei luoghi il loro senso più segreto e profondo.
Il "naming the names" non è altro che un "dire, fare i nomi" e quindi racchiude i concetti di "delazione/allusione" e di "tradimento/ricordo". In questi binomi è racchiusa la chiave di lettura della storia irlandese. Eoin McNamee, cattolico, nato nella contea di Down nel 1961, ce ne racconta una delle sue pagine più drammatiche.
"Resurrection Man* si ispira alla storia degli Shankill Butchers ovvero i macellai diShankill, la strada che attraversa il cuore della Belfast Ovest protestante, uno squadrone della morte che negli anni settanta portò a livelli inauditi la violenza settaria nell'Irlanda del Nord. "Resurrection Man* è un romanzo corale, dove ogni personaggio potrebbe essere alla fine dei conti il vero protagonista della storia. Nell'economia della narrazione,Victor Kelly, un giovane in crisi d'identità per il suo doppio retaggio religioso (mamma protestante, padre cattolico), e gli altri membri della sua banda di assassini hanno lo stesso peso di Ryan e Ivor Coppinger, due giornalisti alcolizzati, entrambi affascinati e disgustati dalla decadenza della città e dagli "omicidi al coltello" dei "Resurrection Men". Figure primarie sono anche i due paramilitari protestanti Darkie Larche e, soprattutto, Billy McClure, che si rivelerà essere il losco deus ex machina che manovra l'ascesa e la caduta del serial killer designato: Victor Kelly. Accanto a questi protagonisti maschili troviamo una serie di importanti figure femminili: Dorcas, l'impossibile madre di Victor,Heather, l'amante di Darkie, Victor, Ryan e McClure, che pensa a se stessa come all'unica superstite di una diffusa, contagiosa epidemia di solitudine. E Margaret, ex moglie del giornalista Ryan. Praticamente anonime restano invece le vittime dei "Resurrection Men", cattolici, scelti a caso tra la popolazione dei civili, perfetti agnelli sacrificali da accoltellare. L'uso del coltello implica infatti un diverso rapporto tra il martire e il suo carnefice. Un rapporto che i lunghi tempi della tortura rendono più intimo, che si può sempre ricostruire, leggendo la sua storia, scritta sulla pelle, incisa nella carne.
Nel romanzo estetica, linguaggio e rituali della violenza si confondono con quelli del territorio. Il tono della narrazione di Eoin McNamee è elegiaco, e i due traduttori, Anna Nadotti e Fausto Galuzzi, sono riusciti a rendere pienamente l'inquietante ambiguità di questa scelta. "Resurrection Man* è un romanzo pieno di morte, e quindi abitato da fantasmi. Fantasmi di case e quartieri abbandonati, deboli tracce di strade rase al suolo, ruderi di una civiltà industriale scomparsa. E delle persone scomparse senza motivo, delle quali resta solo qualche foto d'occasione o il ricordo del loro ultimo desiderio: "Per favore uccidimi". Fantasmi evocati ogni notte da Ivor Coppinger curvo su uno stradario di Belfast d'inizio secolo "come se il lamento della città fosse inscritto in quel racconto di nomi di strade, abitanti defunti e mestieri perduti".
In questo inferno dove il sangue e le strade hanno un nome, Heather cerca consolazione nelle voci del mare e di notte, a letto, ascolta "i bollettini dei naviganti". Margaret, più radicale, cerca conforto nei "non luoghi": stazioni ferroviarie, aeroporti. "C'era qualcosa nei vasti, riecheggianti edifici pubblici che le dava soddisfazione. La calmavano i nomi delle località annunciati all'altoparlante, la consolazione di una meta". Presto "Resurrection Man* arriverà anche sugli schermi, la riduzione cinematografica di Mark Evans sarà proiettata al Festival di Cannes, e i nomi torneranno a essere luoghi.
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