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Titolo ambiguo, “L’anima dei mostri’, che lì per lì fà pensare, erroneamente, ad un horror, anche se poi le tematiche che affronta sono forse ancora più inquietanti. In realtà si tratta di una storia ambientata all’inizio del 1700, in gran parte a Londra e che riguarda una giovane, Eliza, io narrante, liquidata da una madre senza scrupoli, a seguito di una maternità imbarazzante e che si ritrova da Newcastle a Londra, ignara ospite, ma in realtà svenduta ad uno speziale, fanatico studioso delle relazioni fra i condizionamenti esterni delle donne incinte ed i risultati dei loro parti, spalleggiato dalla glaciale e succube moglie. Il padrone di casa in realtà è uno sperimentatore spregiudicato, sempre chiuso nel suo laboratorio, che nella delirante ambizione di ritagliarsi un momento di gloria di fronte alla Royal Society, dimostrando le sue teorie strampalate, non si esime dall’effettuare i test più aberranti sulle malcapitate di turno, usate come cavie. E’ un romanzo che ha il suo meglio nella parte iniziale ed in quella finale, nel quale non manca un colpo di scena degno di un giallo. Il procedere parallelo delle vicende della povera Eliza e le congetture paranoiche dello speziale Bay, cinico e folle, generano qualche ripetitività e confusione nella parte centrale, che risulta anche un po’ ripetitiva. La descrizione d’ambiente di Londra in quegli anni è però splendida: rumori e odori che par di sentirli davvero; l’appiccicoso inquinamento atmosferico, l’incredibile situazione di molti riguardo le condizioni igieniche più elementari. Un quadro davvero desolante, nel quale s’innestano credenze ed integralismi di tipo religioso, a supporto di insane ambizioni. Molto tenera la figura della demente Mary e commovente il finale. Se credete ancora alle dicerie popolari riguardo le voglie delle donne incinte, leggetevi questo romanzo (che non sarà forse indimenticabile, ma del quale Clare Clark può andare comunque orgogliosa) e ve ne toglierete la… voglia.
Devo dire che"Il Ventre di Londra"mi era piaciuto molto di più.L'idea di base di questo libro è ottima ed anzi migliore rispetto al precedente romanzo dell'autrice;ma a mio avviso non è stata sviluppata nel migliore dei modi.Le descrizioni dei luoghi e degli stati d'animo dei personaggi sono ricchissime,accurate,evocative...ma anche esageratamente lunghe(a volte addirittura estenuanti)e spesso poco utili ai fini della narrazione:non fanno altro che allungare una storia di per sé molto lineare che poteva essere contenuta in molte meno pagine.Ottima l'idea di usare il diario e le lettere di Black come modo per dare variatio a un racconto che il punto di vista di Eliza rendeva troppo monocorde;ma i deliri dello speziale a volte erano poco convincenti e quasi ridicoli.I personaggi sono davvero figure a tutto tondo,ma ambigui e lievemente antipatici(Eliza compresa);a parte la dolcissima Mary,la mia preferita.Nel complesso è un buon libro,con alcune pagine da manuale(come la scena del parto di Eliza)sommerse però di prolissità:speriamo che nel prossimo romanzo la Clark sia meno dispersiva e riacquisti la puntualità e l'efficacia che mi avevano colpito nella sua opera prima!
anch'io francamente non ho ancora deciso quanto mi sia piaciuto. Sicuramente interessante la trama e le ambientazioni. una sensazione claustrofobica non ti lascia mai per tutta la durata del libro; magistrale la descrizione degli "odori" di Londra, sembra di sentirli... in alcune parti si è dilungata inutilmente secondo me, per il resto un bel libro che però non ti lascia molto dopo averlo terminato....
Recensioni
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È di nuovo Londra il cuore pulsante del secondo romanzo di Clare Clark. Il gusto per la ricostruzione storica e la vivida immaginazione dell'autrice di Il ventre di Londra, ambientato nella marcescente rete fognaria della fosca città vittoriana, ricreano qui una Londra da poco riemersa dalle ceneri del grande incendio del 1666. La cupola della St Paul Cathedral di sir Christopher Wren giganteggia sull'inferno chiassoso di una città affaccendata e in continua trasformazione, seppure ancorata ad antiche credenze e superstizioni. Così perlomeno ce la descrive Eliza, voce narrante ingenua e eroina esuberante di un romanzo di formazione, a metà tra il Gothic Novel e il romanzo storico. Le vicende narrate in retrospettiva da Eliza si intersecano agli scritti di Grayson Black, il sinistro speziale londinese che la ospita nella sua casa-laboratorio per effettuare i suoi misteriosi esperimenti sulle donne incinte. Il doppio piano narrativo crea una sorta di ironia tragica e, allo stesso tempo, tiene viva la suspense. Eliza crede infatti di essere stata spedita dalla madre dal vecchio dottore londinese per liberarsi del "verme" che ha in pancia, ma le lettere e gli appunti di Black lasciano intendere che i suoi scopi siano ben altri. Sebbene efficace sul piano del coinvolgimento del lettore, il doppio piano narrativo svela, per così dire, le incongruenze del punto di vista. Chi racconta è infatti una Eliza ormai adulta e trasformata dalla sua drammatica esperienza di ragazza-madre che, oltre a perdere il bambino subito dopo il parto, ha assistito anche allo sfruttamento per scopi scientifici della ragazza demente a servizio presso i Black. Va detto però che queste discrepanze strutturali non si notano durante la lettura, piacevolmente scorrevole. Le descrizioni, sempre minuziosamente dettagliate, sono evocative e sinestetiche e alcune scene, soprattutto quelle più truculente, sono di forte impatto visivo. I mercati, le strade affollate, gli spettacoli di saltimbanchi brulicano di vita mentre i personaggi comprimari sono assolutamente bidimensionali. Soprattutto Grayson Black, l'uomo dal volto deformato che vuole creare mostri, vessando le donne gravide in vari modi. Le teorie paramediche e pseudoscientifiche dell'epoca, secondo cui le deformità fisiche erano causate dagli shock subiti dalle madri in gravidanza, sono state studiate con cura dall'autrice, ma la figura del suo speziale è come irrigidita nelle stereotipie del villain di tanta letteratura gotica. Più a tutto tondo è il personaggio di Eliza, che subisce una radicale metamorfosi nell'arco del racconto e, al modo di Moll Flanders, non lamenta le sue sventure, non suscita compassione e, soprattutto, non azzarda giudizi morali. Susanna Battisti
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