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recensione di Di Francesco, M., L'Indice 1996, n. 5
Che la distanza teorica tra il "falsificazionista sofisticato" Imre Lakatos e l'"anarchico metodologico" Paul Feyerabend fosse più apparente che reale, o quanto meno riguardasse più la retorica (la "propaganda") che la sostanza del pensiero è una tesi già nota (il primo a sostenerla - certo in modo tendenzioso - è stato lo stesso Feyerabend, che non a caso dedica "Contro il metodo" al suo "amico e compagno di anarchismo" Lakatos). Ora essa riceve ulteriore alimento dalla lettura dei testi dei due epistemologi raccolti nel bel volume "Sull'orlo della scienza".
Il libro ha come nucleo le finora inedite "Lezioni sul metodo di Lakatos" e la "Corrispondenza 1968-1974" Lakatos-Feyerabend, tratta dal curatore dal fondo Lakatos presso la London School of Economics; a ciò si aggiungono le brevi "Tesi sull'anarchismo" di quest'ultimo e un ricco apparato critico, che contiene una prefazione di una decina di pagine di Giulio Giorello, seguita da introduzione, note biografiche, bibliografia di Matteo Motterlini, il quale è autore di ulteriori interventi chiarificatori attraverso note specifiche, approfondimenti bibliografici, avvertenze, sempre caratterizzati da pertinenza e accuratezza.
Punto di partenza comune di Lakatos e Feyerabend è l'insoddisfazione per la soluzione fornita da Popper alla crisi del neopositivismo, l'individuazione dell'atteggiamento critico come l'essenza della razionalità scientifica e la proposta di un sapere non più basato su certezze, ma solo su congetture. Ciò non sembra sufficiente per rispondere in modo adeguato a quanto mostrato dagli studi di storia della scienza: ovvero che gli scienziati non si comportano affatto secondo gli standard metodologici volta a volta avanzati. Talvolta questa conclusione viene pudicamente mascherata dall'osservazione che è comunque disponibile una spiegazione storico-sociologica dello sviluppo scientifico (il quale, avendo una causa, non sarebbe irrazionale). Invece tanto Lakatos che Feyerabend appaiono ben consapevoli che soltanto la confusione tra cause e ragioni permetterebbe al razionalista di accontentarsi del passaggio dalla logica all'antropologia della scoperta scientifica. Per Feyerabend ciò mostra che il metodo critico della discussione razionale sembra essere al massimo l'ideologia, ma non il motore dello sviluppo della scienza, che è invece spesso affidato a fattori extrarazionali, se non irrazionali; per Lakatos, invece, occorre rinunciare a una visione "meccanicistica" della razionalità (da cui deriva un'eccessiva enfasi sulle falsificazioni e sui criteri logici di scelta), ma non alla speranza di individuare una changing logic all'opera nel cambiamento scientifico.
È su questo sfondo che si collocano le "Lezioni sul metodo" e la "Corrispondenza". Se "Contro il metodo" aveva rappresentato la metà feyerabendiana della storia, culminante nella negazione di quel primato metodologico che dovrebbe garantire alla scienza la sua posizione privilegiata nei confronti delle altre tradizioni di pensiero, "Lezioni" e "Corrispondenza" ci permettono di completare il quadro lasciato incompiuto dalla prematura morte di Lakatos (che gli impedì di pubblicare la prevista replica al testo feyerabendiano). In particolare all'anarchismo o "dadaismo" del suo avversario Lakatos obietta che la negazione di una "razionalità deduttiva" non comporta la rinuncia alla ragionevolezza delle mosse metodologiche che hanno reso possibile lo sviluppo scientifico specie se, con un pizzico di induttivismo, o di "metafisica speculativa fallibile", riteniamo ragionevole aderire ai programmi di ricerca che manifestano un maggior "potere euristico", ovvero la capacità di suggerire problemi nuovi e interessanti, e le ipotesi sulle loro soluzioni.
Al di là del disaccordo, tuttavia, emerge dal testo un forte e saldo "comune sentire": l'insofferenza nei confronti dell'ortodossia, della ragione meccanica e del riduzionismo (non solo fisicalista, ma anche sociologista o storicista). Ciò si nota nelle "Lezioni", che raccolgono il resoconto registrato e poi dattiloscritto di un corso tenuto nel gennaio-marzo 1973 presso la London School of Economics. Il loro contenuto specifico consiste nella discussione di vari approcci metodologici alla scienza, dall'anarchismo di Feyerabend all'"elitismo" di Kuhn, al "demarcazionismo" induttivista e falsificazionista, per finire con la metodologia dei programmi di ricerca scientifici dello stesso Lakatos. Ma è soprattutto lo stile a colpire: esse ci mostrano un Lakatos capace di dosare con sapienza l'efficacia didattica con una dose "feyerabendiana" di irriverenza e humour. Ne fanno le spese tutte le istituzioni tra cui lo stesso Popper, descritto, con eccesso di retorica iconoclasta, come un baluardo dell'ortodossia.
Nello stesso tempo, nel dialogo e nella discussione continua con il suo "compagno di anarchismo", Feyerabend mostra tutto il suo amore per la discussione, la disputa, la ricerca della miglior presentazione delle proprie ragioni. Non stupisce dunque che egli giunga talvolta ad attenuare il suo "dadaismo" per proporre a Lakatos come punto di incontro un "razionalismo critico indebolito anarchicamente", capace di dar corpo alla massima di John Stuart Mill secondo cui "le nostre convinzioni più giustificate non riposano su altra salvaguardia che un invito a dimostrarle infondate". Quale sia il rapporto tra questo anarco-liberalismo e la razionalità dialettica minimale di Lakatos (la quale alle grandiose sintesi hegeliane sembra preferire il bricolage dell'opportunismo feyerabendiano) è una questione che il volume lascia aperta, ma ha il merito di formulare con opportuna chiarezza.
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