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Anno edizione: 2022
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Firma di appartenenza, eccellenti condizioni generali. paperback 146 9788877105028 Molto buono (Very Good).
Pochi eventi nella letteratura del Novecento hanno suscitato tante controversie, e tanto cruciali, quanto il "caso Céline". Che ha imposto l'urgenza di affrontare la scabrosa relazione tra la rivoluzione letteraria d'uno straordinario romanziere e la sconcertante ideologia antisemita dei suoi famigerati pamphlets. Così, se solo dagli anni sessanta la critica ha "riletto" Céline evidenziando la violenza eversiva della sua scrittura e ridimensionando così il valore del dato referenziale dei libelli, l'ipoteca politica ha pregiudicato a lungo la ricezione della sua opera, avvolgendola nel silenzio e creando l'immagine d'uno scrittore, soprattutto dal secondo dopoguerra, isolato rispetto alla società letteraria del suo tempo.
A smentire questo cliché e ad agevolare una "rilettura" dello scrittore ha contribuito Céline e l'attualità letteraria, silloge di testi riuniti da Jean Pierre Dauphin e Henri Godard per Gallimard e ora proposti, sia pure in forma non del tutto completa, al pubblico italiano con l'attenta cura di Giancarlo Pontiggia. Si tratta di prefazioni, lettere a editori, conferenze, e soprattutto interviste, per molto tempo dimenticate e irreperibili, del periodo tra il 1932, anno dell'esordio letterario, e il 1957, nelle quali lo scrittore si esprime sul proprio lavoro e sui propri intenti letterari che si rivelano costantemente legati a una riflessione sulla realtà sociale e politica.
Da queste esternazioni, sollecitate o spontanee, emerge una visione estremamente cupa dell'esistenza, una diagnosi spietata della propria epoca, "un'epoca di miseria senz'arte", e dell'uomo "una scimmia con un terrificante istinto distruttore". È una condanna davvero impietosa che non concede però nulla a un pessimismo o a un ribellismo di maniera: le virulente invettive di Céline rivelano al contrario un'analisi lucida e rigorosa della contemporaneità letteraria e politica, tanto che queste pagine di "attualità" prolungano e completano quelle romanzesche, fornendo uno strumento prezioso per la loro interpretazione. Colpisce così, tra le riflessioni politiche, il sottile smascheramento, già nel 1933, dei meccanismi della società di massa e dei regimi che la governano, siano essi liberali, marxisti o fascisti: tutti fondati - afferma con feroce acume Céline - sulla violenza di "una menzogna permanente e sempre più massiccia, ripetuta, frenetica, 'totalitaria'". Tutti i governanti, in simbiosi con i loro popoli, dominati dall'istinto di morte e terrorizzati dal cambiamento, "vogliono vedere soltanto burattini, assassini a comando, vittime su misura".
E di fronte a una realtà siffatta - lo si evince da molte dichiarazioni, spesso disordinate ma sempre esplicite - la letteratura non costituisce mai un tentativo di riscatto, o di possibile emancipazione dell'umanità, mediante il racconto di una "storia". Céline afferma che per scrivere deve "entrare nel delirio, nella dimensione Shakespeare", perché si sente incapace di "costruire una storia secondo lo spirito logico dei francesi". La letteratura, insomma, non deve giustapporre una logica predefinita al mondo, né deve però rispecchiarlo secondo un realismo deterministico. Contrariamente a molti scrittori contemporanei, per lo più scarsamente considerati, che intendono elaborare idee, raccontare storie, comunicare messaggi, per Céline la questione essenziale è lo "stile". Lo scrittore si mostra ben consapevole della rivoluzione che compie rivendicando il particolare merito d'aver inventato uno stile con cui poter rendere nello scritto l'emozione del "parlato": "Ho inventato l'emozione del linguaggio scritto!". Céline sa bene che trasponendo la vitalità del "parlato", dell'"argot", nella lingua scritta, attua una violenta e radicale contestazione del linguaggio letterario della tradizione francese e dell'ordine ideologico che lo fondava.
Questa raccolta ci aiuta allora a comprendere che Céline può essere proficuamente interpretato solo all'interno di una concezione moderna della letteratura di cui assurge a emblema paradossale, come aveva compreso tra i primi - e non a caso - Roland Barthes, per il quale "le forze di libertà che sono insite nella letteratura non dipendono dalla figura civile, dall'impegno politico dello scrittore (...) e nemmeno dal contenuto dottrinale della sua opera, ma dall'azione di slittamento che egli esercita sulla lingua: da questo punto di vista, Céline è importante quanto Hugo e Chateaubriand, quanto Zola".
Un delicato spunto di discussione viene poi offerto dalla postfazione di Pontiggia il quale, dietro un Céline tenace nemico di ogni falsità, ne vede un altro che, in accordo con la tendenza dominante del mondo contemporaneo, pensando di combattere la menzogna l'ha invece resa estetica.
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