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Descrive la sua vita come uno yo-yo: con alti e bassi, cadute e ascese. La life-story di Miariam Makeba è da un lato emblematica esperienza di vita sotto l'apartheid, dall'altro fiabesca ascesa nel mondo dorato dello spettacolo.
Figlia di una Swazi e di uno Xhosa, Zenzile (un nome che significa all'incirca "è colpa tua") Miriam Makeba conosce il carcere nei primi sei mesi di vita, quando sua madre viene arrestata perché produce birra africana (umqombothi) illegalmente nella township, resta orfana di padre e la nonna materna le infonde un'educazione cristiana. All'oratorio, dove segue catechismo, impara a cantare e capisce che le piace. Il fratello Gogo, che suona il piano e il sax soprano, le insegna le canzoni di Ella Fitzgerald, Miriam sgattaiola dietro la sorella e canta durante le prove del coro della scuola, finché il direttore non la include nel coro di Riverside prima che lei abbia iniziato la sua carriera scolastica. Insomma, questo talento precoce segnerà la sua fortuna e il suo destino.
Il 1948, con la vittoria del Partito nazionalista boero, coglie Miriam adolescente in piena età lavorativa e colpisce il popolo africano con restrizioni sempre più disumane. A diciassette anni, Miriam è madre di una bimba, Sibongile, Bongi (che significa "grazie") e lavora sodo per la famiglia del marito, secondo tradizione, finché lui non diventa violento. Si trasferisce a Orlando, una township vicina a Soweto, in casa di una sorella, e con il nipote entra in un gruppo amatoriale, i Cuban Brothers. Poi viene scelta come solista dai Manhattan Brothers. Ė l'inizio di una carriera come cantante; la cugina Peggy, che aveva recitato nel famoso film Cry The Beloved Country, ne cura l'aspetto scenico, mentre l'altrettanto famoso giornalista sudafricano Bloke Molisane scrive una recensione sul suo esordio parlando della sua voce da usignolo. Cominciano le tournee, i concerti nei club di notte nelle pericolose townships, tra i gangster e il tentativo di condurre una normale vita di madre, e poi sempre più lontano, in Zimbabwe e in Zambia. Il 1955, quando partecipa al festival Township Jazz, è anche l'anno in cui muore Henry NXumalo, Mr Drum, il giornalista africano che ha firmato le pagine più audaci della nota rivista in cui denunciava i soprusi della polizia sui detenuti e le discriminazioni di ogni genere verso i neri (la sua figura è celebrata nel bellissimo film Drum).
Miriam è consapevole delle discriminazioni e non le ci vuole molto per sviluppare una coscienza politica. Ingenua ragazza venuta a New York direttamente da Soweto, perde i diritti d'autore sulle sue canzoni, ma non tradisce mai la causa del suo popolo. Grazie a Belafonte, ha accesso a una carriera negli Stati Uniti come cantante blues e al mondo dello spettacolo americano. La sua casa diviene però il centro d'incontro di africani di varia origine, tutti impegnati per la lotta d'indipendenza nei loro paesi. Le viene diagnosticato un cancro, ma, operata, si rialza e continua a cantare, a visitare vari paesi africani, soprattutto il Ghana e la Guinea. Conosce ed è ospite di molti capi di stato africani, viene invitata alle Nazioni Unite a parlare in difesa dei diritti civili per i neri in Sudafrica, riceve in dono passaporti africani, che le permettono di viaggiare liberamente, visto che il suo paese le nega il visto d'ingresso. La sua è un'emblematica vita di esilio, ma anche l'esemplare storia di una donna africana combattiva e intelligente. La sua autobiografia pubblicata in questa preziosa edizione, ricca di fotografie, che storicizzano anche l'apartheid, e di una discografia completa, rende doverosamente omaggio alla star internazionale, ma profondamente sudafricana, morta a Castelvolturno lo scorso anno.
Carmen Concilio
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