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Anno edizione: 2017
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Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Disco da avere assolutamente. L'ho apprezzato ancor piu in queta veste di solista. Samuel ha un avoce splendida. L'ho ascolto in macchina per ore ed ore. Bellissima"La Risposta" e belle anche tutte le altre, piacevole il duetto con Jovanotti, ma la canzone che vale il prezzo del CD è " La luna Piena".
una sorpresa . migliore degli ultimi subsonica
Recensioni
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Capita ogni tanto che siano gli artisti stessi a organizzare delle piccole listening session in occasione delle uscite dei dischi. Mentre apre il portatile per farmi sentire Il codice della bellezza, noto incollato sul computer di Samuel un mantra che suona tipo “Fuggi dalle persone negative”. E serve a spiegare questo album più di qualsiasi altra parola.
«Quando i Subsonica hanno iniziato la loro carriera, c’erano pezzi come Radioestensioni, ma poi abbiamo preso un’altra direzione, più cupa. In questo disco ho voluto riportare un po’ di quel mood, di quella serenità». Il codice della bellezza è il suo primo album solista, dopo 20 anni assieme ai suoi compagni di viaggio, al momento in pausa creativa (più o meno, visto che Boosta ha pubblicato un disco e da poco l’hanno fatto anche Max Casacci e Ninja, con il nome di Demonology Hi-Fi). È anche il disco che vedrà il ritorno di Samuel sul palco di Sanremo, in un percorso completo che lo vuole portare a staccarsi dall’immagine di essere “quello dei Subsonica” per affermarsi come cantante in prima persona. Che questo possa anche essere figlio di una considerazione sul futuro della band non sta a noi dirlo. Anche La risposta, il primo singolo estratto e clamoroso successo radiofonico, è quasi un brindisi a un cambiamento che è maturato negli anni (ad un’idea che gira in testa / a cosa chiede il mio DNA). E che ha trovato nell’album il suo sfogo naturale.
Samuel Romano ha scritto il disco a sei mani: con Michele Canova, ovvero uno dei principali produttori pop italiani – Luca Carboni, Marco Mengoni, Tiziano Ferro, Elisa, Fabri Fibra, solo per citarne alcuni – e Lorenzo Jovanotti, che per questo lavoro ha vestito i panni di un «fratello maggiore», offrendo supporto, dispensando consigli e duettando anche con lui, in Voleva un’anima. Il disco è incentrato sull’amore, e fin qui, non sembra un concetto complicato. Ma quello che fa Samuel è una ricerca personale per scavare dentro alle anime degli amanti (sì, la bellezza di cui si parla nel titolo è la celeberrima “bellezza interiore”), andando a pescare i lati positivi, come in Niente di particolare, e quelli negativi, come nel secondo singolo Rabbia. E poi, quelli nascosti e quelli più evidenti, tra cui la dipendenza in Dea e il tradimento e l’adulterio in Come una Cenerentola. Quello che colpisce de Il codice della bellezza è la libertà espressiva e di stili che si è concesso Samuel: se i pezzi scritti da lui, come Qualcosa, si avvicinano alla musica che l’ha segnato negli ultimi vent’anni, dark e pulsante, in altri, soprattutto in quelli in collaborazione con Jovanotti – vedi alla voce La statua della mia libertà – ci sono sonorità estive, quasi da electro-cumbia, decisamente inaspettate.
Scorrendo tutto il disco, si trovano rimandi all’elettronica che ha formato il nostro (Passaggio ad un’amica, segreta dichiarazione di un amore, tenuto nascosto, con suoni tra gli anni ’90 e i Daft Punk), ci sono echi cinematografici, come nella lentissima e dilatata La Luna piena o nella già citata Dea, tra le visioni al neon di Nicolas Winding-Refn e le creazioni di The Weeknd, che vengono incontro a un’altra passione di Mister Romano, ovvero il cinema. In generale, è chiarissima la voglia di Samuel di percorrere una strada personale, tutta sua, che possa portare il suo nome a brillare di luce propria.
Non è possibile cancellare la strada fatta dal 1996 a oggi con i Subsonica, non è possibile cancellare Torino dal proprio Dna. Ma di sicuro, e in questo caso Samuel lo dimostra molto bene, è più che possibile creare un lavoro pop di primissimo livello, senza cancellare quello che il suo nome ha voluto significare finora nella musica italiana. Anche perché, guardando indietro, una delle prime barriere tra i generi, tra underground e mainstream (anzi, mainstream sanremese, ovvero il re dei mainstream) di cui tanto si parla oggi, l’hanno sfondata proprio i cinque torinesi salendo sul palco del Teatro Ariston con Tutti i miei sbagli, ormai 17 anni fa.
Recensione di Matteo Zampollo.
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