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Collezioni, musei, identità tra XVIII e XIX secolo - copertina
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Collezioni, musei, identità tra XVIII e XIX secolo
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Descrizione


Collezioni, musei, identità costituiscono tre facce del prisma del patrimonio culturale, colto nella sua fase di formazione, fra Settecento e Novecento: non un complesso di manufatti dato una volta per tutte, ma il prodotto dell'incontro fra un "bene" (storico-artistico, archeologico, paesaggistico) e un particolare investimento simbolico compiuto da una comunità. Una volta illuminati da un nuovo senso sociale, i beni acquisiscono una luce diversa, vengono protetti e valorizzati, escono dall'oblio per entrare all'interno di un perimetro, quello della conservazione, che da privato spesso si fa pubblico. I casi di studio presi in esame in questo volume - dagli scavi di Velleia alla collezione Campori di Modena; dalle riflessioni di Ruskin sui musei alla "rinascita" della ceramica faentina - si muovono proprio lungo il crinale del passaggio da una condizione all'altra: ora l'invenzione del patrimonio s'inserisce all'interno di processi più generali, come la riscoperta dell'antico nel XVIII secolo; ora la rivisitazione moderna di una tradizione pare il prodotto di un'identità già avvitata sul territorio; ora ci s'interroga sul destino dei beni museificati (deposito, archivio del passato, o ponte fra il passato e il futuro?). In ogni modo, l'interazione fra urgenze tutte contemporanee ed eredità trasmesse fortunosamente funge da chiave di lettura comune, sollecitando interrogativi sulla "verità" degli oggetti valorizzati, sulle retoriche allestite intorno al patrimonio.
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Dettagli

2007
8 novembre 2007
202 p., ill. , Brossura
9788815118158

Voce della critica

"Le rigidità disciplinari nuocciono agli studi sul patrimonio culturale". Con questa dichiarazione lo storico Roberto Balzani, che già aveva fornito un'ottima prova sul campo (Per le antichità e le belle arti: la legge n. 364 del 20 giugno 1909 e l'Italia giolittiana, il Mulino, 2003), avvia il saggio di apertura di questo volume. La storia del patrimonio culturale è un contenitore rischioso, una "terra di mezzo" che, nonostante i crescenti contributi, continua a risultare spesso inesplorata. L'insieme di studi qui proposto si presenta come una verifica degli strumenti di indagine, con esiti tanto più convincenti quanto più ancorati a una seria riflessione sulle prospettive e sul metodo della ricerca storica applicata a collezionismo, musei e conservazione. Questi ambiti non sono riconducibili a descrizioni univoche, la loro comprensione passa per intrecci disciplinari e variazioni temporali, in linea con la "natura processuale" di questi fenomeni. Il museo è in questo senso esemplare, perché la sua storia è una continua immissione di oggetti, significati, aspirazioni e identità, e il valore di tutti questi elementi è immerso in un determinato periodo storico e in uno specifico luogo, amalgamato dai saperi e dalle volontà delle persone. La fisionomia dei musei e delle figure che hanno segnato il loro sviluppo annovera in questo volume due felici esplorazioni: una è offerta da Donata Levi, che conduce una raffinata lettura dei legami tra il lavoro critico, l'impegno didattico e la visione museografica di John Ruskin e definisce la distinzione da lui adottata tra musei per educare e musei per conservare; l'altra è quella di Simona Boron, che ripercorre l'impegno di Gaetano Ballardini per il Museo delle Ceramiche di Faenza fra recupero dell'identità artistica locale, impulso verso la produzione industriale e collezionismo.
La pratica del collezionismo, affrontata in luoghi ed epoche differenti, è interpretata in un'ottica di contesti e relazioni: come nel caso del Museo Ducale di Parma, dove Anna Rita Parente propone un'analisi del rapporto tra Paolo Maria Paciaudi e Caylus sullo sfondo delle ambizioni di prestigio europeo di Filippo di Borbone e dei legami politici e culturali del ducato con la Francia; o ancora, nell'approfondimento di Luisa Avellini e Lara Michelacci sul collezionismo di Giuseppe Campori, partecipe del recupero storiografico della Deputazione modenese, sotto l'egida dell'amor patrio e della vocazione didattica.
La città, intesa come ambiente fisico, sociale e culturale, è uno degli ambiti più stimolanti su cui misurare il significato delle scelte collezionistiche e museali postunitarie, quando le istituzioni culturali civiche sono investite di un importante compito educativo. Gli oggetti che entrano a far parte di queste istituzioni (musei civici e biblioteche, ma anche scuole di disegno e istituti tecnici) costruiscono un sistema di riferimenti che, con geografie variabili, tiene uniti la memoria e il futuro dei luoghi. Le città di provincia, dove gli indirizzi politici e ideologici sono più variabili, si prestano con particolare favore all'indagine su casi specifici. Sono anche i luoghi in cui la fioritura collezionistica avvenuta tra Otto e Novecento attende ancora il vaglio di una ricerca storica documentata che, sventando facili semplificazioni, possa contribuire ad arginare le manipolazioni pretestuose cui il patrimonio culturale è spesso soggetto.   Sara Abram

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