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Come un pugno di Claudio Marinaccio è uno di quei libri che non ti aspetti. Come diavolo è possibile che in uno spazio così breve si riesca a far divertire e a commuovere così tanto? Sta proprio qui il l'abilitá dell'autore. Ovvero il saper intervallare episodi volutamente esagerati a uno stile narrativo tra il serio e il sarcastico, con l'obiettivo di rapire il lettore, che rimane incollato al libro fino all'ultima pagina. Con lo spasmodico desiderio di volerne ancora. Il protagonista di questo libro è Mark Scannagatti, una sorta di Charles Bukowski alla matriciana. Uno scapestrato, inconcludente figlio di puttana drogato tossico e alcolizzato. Che però ha anche qualche difetto. Non pensate però di avere a che fare col solito clichè dell'antieroe moderno in cerca di riscatto. A Mark piace quello che fa, non potrebbe fare mai a meno delle sue scorribande, e non è certo alla ricerca di una redenzione. Anzi. Fa di tutto per terra bruciata intorno a sè. Gli stessi personaggi che si muovono in questo racconto allucinante, sono appena tratteggiati Eppure rimangono impressi nella mente del lettore come un tatuaggio. Lo stile di Marinaccio è efficace proprio per questo, in quanto utilizza periodi brevi e veloci che aumentano la scorrevolezza della narrazione, rendendo la lettura un'esperienza al tempo stesso fresca e intensa. Marinaccio ci regala un personaggio assolutamente indimenticabile. Situazioni strampalate e assurde, risse, sesso, droga, alcool. Gli ingredienti ci sono tutti. Tanto che Marinaccio potrebbe andare da MasterChef e preparare un film di David Fincher oppure il seguito di Snatch. Ma quello che lo eleva e mette definitivamente ko il lettore è la grande umanità che trapela da questo libro. Umanità come segno di speranza ma non solo, umanità nel saper farsi toccare dai grandi temi della vita e nel voler mantenere vivo il ricordo dei nostri cari. Un libro insomma che non parla certo di massimi sistemi e ma che non è affatto banale. Anzi. È di gran valore.
Recensioni
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L’ho letto voracemente, catturato dall’ironia che attraversa ogni pagina.
Giunto alla fine sono arrivato a questa conclusione “in letteratura, la leggerezza è un dono che tramuta le parole in oro”. Come un pugno di Claudio Marinaccio luccica e attira; nel mio caso, mi ha reso una gazza ladra.
Ma partiamo dal protagonista di questa storia. Mark Scannagatti è un talentuoso scrittore allo sbando. Ha pubblicato un libro, è diventato famoso, ma ha mandato tutto al diavolo per diventare un fallito patentato.
Beve, si droga, va a caccia di prostitute. Gli episodi della sua vita sono avventurosi, ironici, ma anche guidati dalla frustrazione. Ha origini piemontesi, ma come patria ha scelto gli Stati Uniti. La sua vita non è molto diversa da quella di Bukowski, ma non è un suo emulo, bensì, un uomo che ha scelto la strada dell’anonimato e della disintegrazione. In questo caso, l’ironia diventa una chiave di lettura della tragedia.
Mark è orfano. Suo padre è stato una stella del pugilato; sua madre, invece, una donna senza scrupoli, priva di amore nei suoi confronti. In tutto questo si fa spazio la letteratura, croce e delizia per il protagonista.
Ed eccoci alla trama. Mark Scannagatti deve scrivere un libro sull’incontro boxistico del secolo. L’opera è stata commissionata da una persona molto importante, a cui non può dire di “no”; eppure, questa possibilità sembra essergli giunta dal destino, perché proprio con quest’opera inizia un processo di riscatto e di catarsi.
Il libro di Marinaccio è un esordio letterario con i fiocchi. Lo stile è maturo e si rifà alla letteratura americana. Periodi brevi, parole precise, freschezza e inventiva. Se alcuni episodi possono apparire esagerati, be’, sappiate che in questo modo l’autore vuole solo provocare la vostra attenzione, dirigendola verso lidi grotteschi.
Nonostante tutto, non mancano i momenti più riflessivi e quando arrivano hanno la stessa intensità di quelli ironici. Questo libro si muove tra serio e faceto, ma ha il potere di portar via il lettore, di prenderlo per mano e di non lasciarlo più. E in fondo è proprio quello che vogliamo dalla letteratura.
Recensione di Martino Ciano
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