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Anno edizione: 2019
Anno edizione: 2019
La conclusione magistrale della tetralogia di Miami.
"Un purosangue" - Antonio D'Orrico
"Charles Willeford va sullo scaffale dei grandi" - Alessandro Robecchi
Quando il detective della squadra Omicidi di Miami Hoke Moseley riceve l'ordine di farsi crescere la barba, non dà alla cosa grande importanza. Ha già troppi problemi a casa, con le due figlie teenager e l'ex collega cubana e il suo neonato, soprattutto da quando di fronte si è installato uno psicopatico che ha messo al fresco una decina di anni prima. Ma il suo capo ha altri progetti per lui e gli assegna una missione sotto copertura, a molti chilometri di distanza, fuori giurisdizione senza distintivo né pistola. Deve infiltrarsi in un'organizzazione sospettata di sfruttare e assassinare immigrati clandestini in un ranch nelle Everglades, tra umidità soffocante e branchi di alligatori affamati.Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Più slegato, "annacquato" e convincente degli altri romanzi di Willeford, ma mi piace leggere quest'autore. Il protagonista è sempre l'indimenticabile ispettore Hoke Mosley della polizia di Miami. Ho apprezzato i dialoghi, l'ironia (in questo romanzo meno), i dettagli della vita quotidiana, la visione scanzonata della vita e queste figure femminili forti, belle. Le uniche sane e trasparenti in un mondo squallido e violento.
Non è una scrittura coi fronzoli, ma non sono neppure storie coi fronzoli. La mini saga di Hoke è scritta in modo diretto e immediato, e così vale la pena di essere letta. Non può mancare nella libreria di chi ama la narrativa di genere. E il genere è il crime novel a tinte pulp, con qualche aggiunta hardboiled.
Hoke Moseley addio. Si chiude con questo quarto romanzo la saga del sergente della Omicidi di Miami e sinceramente un po’ mi dispiace anche se quest’ultimo libro è senza infamia e senza lode. Si denota una stanchezza nell’autore, forse solo la voglia di andare avanti con lo stesso filone degli altri tre, ma senza la forza e la freschezza di base. Non so se sia anche una stanchezza fisica la sua, (sappiamo solo che Willeford è morto poco dopo l’uscita del libro) o molto semplicemente l’esaurimento della vena, fatto sta che ho riscontrato delle forzature abbastanza grotteste e non ho trovato quello che è sempre stato un dono di Willeford: l’umorismo noir scritto con perizia. Non è un libro da buttare, anzi non può davvero mancare per chi come me ha seguito tutta la saga, è doveroso leggerlo per rispetto verso un autore che nel suo genere è un grande, ma sinceramente non ha chiuso in bellezza. Il più grande difetto di Willeford: è il girare intorno, il disperdersi nel discorso, la fatica nell’arrivare al dunque….) ecco, in Come si muore oggi il difetto è ancora più visibile e non spalleggiato dalla buona trama e dalla buona scrittura, diventa un difetto non perdonabile e a dir poco fastidioso. D’accordo al 100% sulle considerazioni di Lorenzo Berti.
Recensioni
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