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Non conoscevo un solo rigo fino a ieri di quest'autrice, neanche una frase rubata nella casualità di qualche ritaglio o qualche rimando in libri d'altri. Questi racconti hanno smosso un universo come vere falde di un tempo geografico e letterario unico, non saprei descriverli diversamente. Si lasciano amare uno ad uno, ci sono gli echi e le fragranze di un'isola stupenda, nascosta e magica coi suoi protagonisti incredibili. Sono tutti caratteri estremi, vite senza requie, abitate da dolcezze e follie o da diffidenze più che ostili, cocciute e mosse dalle superstizioni più bieche, dagli istinti più radicati, qualcosa come una malformazione interiore, una stortura innata in bene o in male, un difetto congenito e senza cure, una malattia dell'anima che dalla pagina cola aspra e integrale nella sua dannazione poetica. Verrebbe quasi da dire che la Deledda costruisce una nuova genesi umana, come decisa da quel luogo, incastonata in un malessere antico, un alfabeto che imprime i suoi piombi nei tratti più traviati del midollo. Basta leggere il Tesoro, racconto di una selvaggia bellezza, una specie di marchio d'assoluto su quanto appena detto; un ragazzo trova delle monete d'oro frugando la terra, e finirà a sua volta per nasconderle, ucciso da una forma di paura o di ingestibilità di quel malloppo, nei pressi di una scogliera . Una mattina non le troverà più, le aquile che abitano quel posto le hanno portate via. Ma c'è come una magia che continua a esondare lungo la raccolta, sane vendette fra contadini, valori triviali e ancora ostinatamente difesi lungo i percorsi delle volontà in gioco, confronti fra baroni e cafoni dove emergono pian piano vecchie acredini e scheletri inconfessati, amori sospesi e rimpianti, duelli, vendette, perdoni e ossessioni. Una partitura selvaggia intrisa di favolosa brutalità e di accenti mirabili. Lieto d'aver speso del tempo in compagnia di un vento nuovo, certo d'aver vissuto nella complessità di un'odissea davvero unica.
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