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recensione di Ciafaloni, F., L'Indice 1998, n. 4
Delfino Insolera non è stato soprattutto uno scrittore. Non solo perché ha prodotto anche quadri e schizzi ma perché è stato un educatore e un editore, un organizzatore di cultura, un ideatore e realizzatore di programmi didattici; uno che aveva delle idee e sapeva trovare e motivare le persone per realizzarle.
Perciò sarebbe un po' riduttivo recensire questo libro come una raccolta di scritti, come se si trattasse di un insieme di narrazioni o di tesi. Questa è la raccolta di qualche testo, in senso proprio, e di molte tracce, di appunti, aforismi, programmi, segmenti di libro, note di metodo: la documentazione del percorso di un uomo la cui opera non è stata costituita soprattutto di parole; non direttamente almeno.
Forse Delfino Insolera è tutto racchiuso nei ricordi dei suoi due amici più antichi, Claudio Pavone e Michele Ranchetti, oppure nello scritto che praticamente apre e in quello che praticamente chiude la raccolta: la risposta di Timoteo a Celeste Umero (cioè di Insolera a Ranchetti) del 1950 e il racconto della propria vita detto nel 1985 nell'ambito di un corso di Enrico Doglio agli studenti della Facoltà di scienze politiche di Bologna.
Anche se nel primo è dominante la teologia e la metafora teologica o scritturale e nel secondo Dio e la metafora di Dio sono quasi assenti, il punto centrale è sempre lo stesso. Il diritto e il dovere del dubbio, la possibilità o la necessità dell'eresia, la possibilità dell'inganno del maestro, o di Dio, la scelta, la necessità etica di dubitare, di sottoporre a controllo, di attenersi alle cose che si possono sperimentare, di non credere, di non obbedire all'autorità gerarchicamente costituita, di non aspettarsi nulla dall'autorità costituita, di fare e far fare le cose che contano, di cercare la verità nel fatto e la legittimità dei rapporti nella forza interna dei rapporti. Non per nulla delle quindici pagine del racconto della sua vita ben dieci riguardano fatti avvenuti prima del '50. Nel resto del tempo pare che non gli sia accaduto più nulla; il resto sembra sia stato applicazione (come certo non è vero). Delfino Insolera è quello lì, che rivendica negli anni quaranta la necessità dell'eresia, con tutta la responsabilità e l'impegno a decidere e a fare personalmente che questo comporta, e che l'otto settembre del '43 si presenta al suo colonnello per dirgli: "Guardi che io adesso lascio l'ufficio e vado a combattere i tedeschi". L'altro gli risponde: "Bravo, bravo, verrei anch'io... ma, sto cercando di telefonare a Roma ma il Ministero non risponde". Da quel giorno, ci dice, si è sempre chiesto davanti a professori e autorità, nel pieno esercizio del loro potere, che cosa avrebbero fatto individualmente loro l'otto settembre.
Dire però che tutto Insolera sta nella risposta a Celeste Umero sarebbe una cancellazione della natura stessa dell'uomo. Lui le sue affermazioni di principio le ha scritte una volta sola. La vita poi l'ha passata ad applicarli i suoi principi. Lui è stato un uomo del mestiere, dei dati raccolti, della pagina stampata, della divulgazione realizzata, della competenza, non dell'ideologia. A leggerlo, sia nella replica iniziale, sia nelle introduzioni, sia nelle affermazioni che fa in introduzioni, interviste e interventi, malgrado l'esplicita scelta del dubbio e dell'accettazione della messa alla prova, Insolera sembra avere troppe certezze.
Molti non avrebbero avuto il coraggio di chiamare un giornale, come il grande confratello russo, "La Verità", o di proporre a un gruppo di persone un programma pratico non in nome della comune convinzione, cioè in nome della politica, ma in nome della verità. Tanti lo hanno fatto, ma non erano votati al dubbio. È questa l'osservazione prima di Celeste Umero, che la argomenta con sottigliezza. A questo Timoteo risponde invocando la libertà, la necessità del maestro di proporre anche l'inganno e il dovere del buon scolaro di rifiutare il maestro che proponga l'errore. Ma sembra esserci un eccesso di fiducia nella ragion pratica, nella capacità di porre il problema giusto e di trovare la risposta. In effetti è possibile che non di certezza si tratti ma di radicale accettazione dell'incertezza, dell'assenza di fini nel mondo, della volontà di sostituire il progetto e l'educazione alle idee ricevute e alle fedi. Sono il mestiere, il metodo, il lavoro che consentono di procedere nell'incertezza.
Ho conosciuto, di sfuggita e lateralmente, Delfino Insolera, perché anch'io, molto molto più marginalmente, ho lavorato a scegliere, tradurre e stampare libri scientifici, guidato un poco da Michele Ranchetti (che allora mi sembrava - figuriamoci! - un po' troppo mondano). L'ho conosciuto a Francoforte, alla fiera, e l'ho frequentato un poco per vari anni, soprattutto in un periodo in cui sembrava venisse a lavorare a Torino.
A suo tempo ho trovato emozionante la traduzione del Pssc (Physical Science Study Committee) e del suo gemello per la biologia. Mi entusiasmo ancora per la storia alla rovescia (dal presente al passato), che tanto ci servirebbe. Trovo addirittura commovente il dettaglio delle istruzioni per la costruzione di esperimenti di scienze naturali, dei corsi di formazione musicale, delle interpretazioni metriche di proverbi e detti popolari. Quelli che hanno condiviso i criteri delle scelte senza avere lo stesso mestiere, la stessa attenzione ai particolari, la stessa capacità di realizzazione, forse sono in grado meglio di altri di capire quanto fosse bravo.
Fanno parte della raccolta l'introduzione a "Uomini e molecole", con l'esauriente critica al vitalismo, e l'intervista a "Tempo medico", che sono gli interventi più estesi sulla scienza, il metodo, le applicazioni pratiche della scienza che Insolera abbia scritto.
È interessante notare che uno dei punti cardine è l'attenzione a non escludere risultati possibili in nome della scienza. Mai dire mai, se non si viola una legge fondamentale, almeno fino a che il principio regge. Due problemi pratici che hanno a che fare con scelte ancora attuali, la possibilità del volo spaziale e i trapianti, compaiono in "Che fare". Insolera sostiene che non si può escludere che il volo interstellare sia possibile, in quanto ha solo ostacoli tecnici.
Per i trapianti invece Insolera ne sostiene l'impossibilità, come cura ordinaria. Perché ogni vita salvata presuppone una morte e l'interesse di chi vive e quello di chi deve morire sono contrapposti. Sembra un errore di previsione, ma tocca invece il centro del problema. Alla fine gli abusi dei ricchi a danno dei poveri, il conflitto di interessi tra chi sta per morire e chi spera di vivere, i problemi etici sull'uso strumentale degli uomini sono i problemi di oggi: la testimonianza della vista lunga di Delfino Insolera, che praticava la scienza ma non idolatrava il nuovo.
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