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Il genio di Thomas Mann ha reso Peeperkorn la grottesca e tragica maschera del linguaggio fatuo, evanescente, puro alone ozioso che buffoneggia disperato su quel magico colle del sanatorio di Davos. Sentiamolo parlare: "Signore e Signori...bene tutto bene...Chiuso...Ma se loro considereranno e non...nemmeno per un attimo...trascureranno che...Ma su questo tema non dirò nient'altro...Ciò che è mio dovere dichiarare non è tanto questo, quanto soprattutto e unicamente un'altra cosa, e cioè che siamo obbligati...che ci si pone l'esigenza incrollabile...ripeto e pongo ogni enfasi in questa parola...l'esigenza incrollabile di...No! No signore e signori, non così! Non in modo che io, magari...Quanto sarebbe sbagliato pensare che io...Chiu-so, signore e signori! Assolutamente chiuso. So che su tutto questo siamo d'accordo, e dunque veniamo al punto!". Siamo ai vertici altissimi del dolore, fra tracce di polmoni umidissimi che tentano di sfidare la morte fra eleganti sale di cura. Perchè capita un tizio simile? Perchè anche nei rovesci più seri della vita la lingua mostra la sua inanità? Bel quesito. E' la traversata divertita - e nemmeno tanto - che l'autore tenta di compiere fra queste deliziose paginette, un Nulla indagato con spirito di rispetto. La carovana è piena di campioni intendiamoci: Queneau e le sue enigmisticherie (si può dire dai), la forza persuasiva del grammelot di Fo, e ancora Hašek (uno dei fili portanti del libro), Buzzati, e tanti altri primi attori. Anche gli episodi si perdono in richiami ed echi sul crinale di questa vasta informe parola, Nulla, compreso il suicidio di un capocomico italiano verso la fine dell'800 nel quale riesce a sigillarsi con compiutezza risolta ogni stortura e ogni sottilissimo ingranaggio di guasto (perchè anche lì ci vuole perizia da parte del destino) su cosa sia la vita, lo sforzo ad affrontarla, il nonsenso che la avvolge. Al volante del libro un Cortázar che suona la tromba e ovviamente non vede la strada. Non serve.
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