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Un testo fondamentale, suggestivo, intrigrante. Spiazza la retorica del riformismo, studia in maniera approfondita e limpida la globalizzazione, prendendo anche le distanze dalle forme di antagonismo improduttive che finisco per essere funzionali al capitale. Oltre il pubblico, oltre il privato, c'è il Comune.
Recensioni
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Punto di approdo della trilogia avviata un decennio fa con Impero e proseguita con Moltitudine (2004), questo lavoro di grande respiro culturale e politico si incentra sul progetto "etico" di costruzione "di una possibile democrazia globale". In polemica con varie ipotesi di democrazie cosmopolitiche "socialdemocratiche" di ispirazione kantiana (Giddens, Beck, Habermas, Held), alle quali gli autori dedicano pagine di notevole lucidità critica, Hardt e Negri sostengono la piena valorizzazione, nelle vite delle "singolarità" che costituiscono la "moltitudine" dei "poveri" ("poveri, migranti e lavoratori precari") del pianeta, del cosiddetto "comune". Con questa espressione deve intendersi, dicono Hardt e Negri, "in primo luogo, la ricchezza comune del mondo materiale l'aria, l'acqua, i frutti della terra e tutti i doni della natura" e "con maggior precisione, tutto ciò che si ricava dalla produzione sociale, che è necessario per l'interazione sociale e per la prosecuzione della produzione, come le conoscenze, i linguaggi, i codici, l'informazione, gli affetti e così via". Ricco di riferimenti sociologici e di filosofia politica, il libro, come altri lavori di Negri, soffre sul piano della specifica analisi storica (si veda Michael Merrill, in "International Labor and Working-Class History", autunno 2010) e denuncia, per così dire, un eccesso di "immanenza", come se il "comune" fosse già una realtà pienamente operante. Ma resta una coraggiosa e visionaria provocazione con la quale pare difficile non confrontarsi.
Ferdinando Fasce
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