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Il libro raccoglie i primi tre saggi di un volume uscito in Germania nel 2005 con il titolo Tra naturalismo e religione. Dopoun interessante profilo autobiografico (Spazio pubblico e sfera politica. Radici biografiche di due motivi concettuali), Habermasritorna sulla sua teoria comunicativa della razionalità, in riferimento alla filosofia kantiana e alla discussione con l'amico Apel, riprendendo anche la questione del rapporto tra morale, diritto e politica.Partendo da Kant, Habermas vuole "detrascendentalizzare" il soggetto agente e trasportarlo dal dualismo di mondo intelligibile e mondo fenomenico "al mondo della vita linguisticamente articolato di soggetti socializzati", trasformando così la ragion pura in ragione situata nell'interazione linguistica e incarnata in contesti storici.Gli altri otto saggi del volume tedesco con la discussione del tema libertà e determinismo in rapporto ai problemi sollevati dalle tecniche di manipolazione genetica e dalle neuroscienze, con l'analisi dei diversi aspetti del problema delle religioni nella sfera pubblica nel quadro dello stato liberaldemocratico e con un contributo conclusivo sul tema dell'"ordinamento cosmopolitico" sono stati pubblicati da Laterza nel 2006 (Tra scienza e fede). Non so se è stata una buona scelta editoriale la pubblicazione italiana in due libri distinti. I primi tre saggi costituiscono infatti lo sfondo filosofico generale di quelli successivi, che delineano una "terza via" in cui il pensiero postmetafisico habermasiano prende le distanze sia dalle sintesi scientifiche naturalistiche, sia dalle verità rivelate, e propone un dialogo tra cittadini religiosi e irreligiosi nel quale ciò che si mostra traducibile e accettabile nel discorso pubblico almeno nel campo che esula da accertamenti scientifici incontrovertibili non è fissato in anticipo, ma è il frutto cooperativo di una discussione dalla quale è ragionevole aspettarsi il permanere di un dissenso circa i valori ultimi delle "visioni comprensive" del mondo. Ciò, secondo Habermas, dovrebbe condurre all'accettazione convinta da parte di tutti anche da parte di coloro che trovano nelle religioni un motivo identitario del pluralismo e della tolleranza non come mera sopportazione, o come limiti giuridici imposti dallo stato laico per garantire la coesistenza dei diversi, ma come "rispetto" reciproco e dialogico riconoscimento di differenze che sul piano pubblico non dovrebbero impedire l'intesa. Cesare Pianciola
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