L'autrice non è al suo esordio narrativo: ha scritto racconti e libretti d'opera e ha pubblicato Il calcio di Grazia (Baldini Castoldi Dalai, 2004), un romanzo che ha suscitato molta curiosità e interesse per l'abilità con cui è stato delineato il personaggio della protagonista, ossessionata dai calciatori, marginale e ingenua. Dunque conosciamo l'autrice come dotata di quell'"istinto di narrare" che è anche il titolo di un interessante libro di Jonathan Gottschall che l'autrice stessa ha tradotto per Bollati Boringhieri. Questa volta la vicenda è quella di un giallo, da cui balza fuori subito un'umanità varia che Olivero sa descrivere con molta perizia e anche con ironia. Fra gli altri personaggi, l'ex maresciallo Hervé Farcoz e la sua aiutante Odetta Giachery, che si caratterizzano subito per le loro personalità nette e dissonanti. Ma personaggio non secondario del romanzo è la città, Torino, di cui sono rievocati con esatezza topografica e gusto del colore vie, piazze, angoli, istituzioni e, fin dalla prima pagina, il mercato multietnico di Porta Palazzo. La vicenda non si può raccontare nei dettagli (dal momento che si tratta di un giallo) ma si può invece affermare con convinzione che il congegno narrativc è complesso e spiazzante: complesso innanzitutto perché la soluzione non è a portata di mano, come purtroppo capita anche per opere dello stesso genere di autori molto noti, ed emerge solo alla fine attraverso colpi di scena ben assestati. E complesso anche perché sono molti gli elementi messi in campo dall'autrice: la galassia del mondo cattolico torinese (cone le sue luci e le sue ombre), l'affiliazione a sette misteriose che fanno riferimento a Odino e quindi tutti i temi della credenza (e della credulità) e della fiducia, ma anche quelli del senso del lavoro e del proprio ruolo, del rapporto fra chi appartiene a un'istituzione e chi viene accolto e magari è percepito come diverso e straniero. Ma la cosa più interessante di questo giallo è la volontà di spiazzare il lettore con degli effetti che vanno al di là della costruzione di un meccanismo narrativo e della creazione di una tensione costante. Si tratta di una presa di posizione implicita sulla realtà descritta, che è quella quotidiana, condivisa da molti. Da una parte situazioni e personaggi sembrano aderire a degli stereotipi (il prete stupratore, lo straniero infido, la donna sola che gode con leggerezza della sua libertà) ma in un secondo tempo salta ogni cerniera, viene smascherata la falsità di ogni cliché, di ogni opinione ricevuta, di ogni pregiudizio. In questo rovesciamento di prospettiva, Olivero sembra lasciare questo avviso al lettore: la realtà non è quello che si vede. Mi sembra questo il succo della storia e quello che conduce il romanzo fuori dai recinti del genere. Monica Bardi
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