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Descrizione


A chi assomigliano i pazzi? Al nostro modo di vivere e di pensare o al nostro modo di interpretarli? E le nostre interpretazioni sono forme di comprensione o modi sofisticati per tenere a distanza quello che Borgna chiama ‟il sorriso della sfinge”?Da quando è nata, la psichiatria sembra non abbia promosso altra via se non quella di tenere i pazzi a distanza, di porli di fronte a noi, attingendo dalla medicina quello strumento potente che da alcuni secoli era nelle mani di quella scienza: ‟l'oggettivazione”, per cui è possibile parlare di schizofrenia e di depressione come i medici parlano delle malattie che i loro modelli di indagine costruiscono. Dopo averlo oggettivato, dopo averlo tenuto adeguatamente a distanza come altro da noi, la psichiatria si è concessa di descrivere il pazzo con quelle parole ‟umane” che la tradizione religiosa metteva a disposizione, quindi in termini di pietà, sofferenza e dolore. Ma neppure questo ‟umano troppo umano” è riuscito a mascherare la distanza che non la follia, ma la descrizione psichiatrica della follia ha creato tra il mondo della ragione che tutti noi abitiamo e gli abissi della follia che i pazzi frequentano. Eugenio Borgna, nel denunciare l'inganno della separazione, toglie alla psichiatria la maschera e, senza la pietà delle parole che coprono la distanza che questa scienza ha inaugurato tra noi e la follia, costringe la sfinge a cedere il suo segreto u. I folli parlano come noi, delle cose di cui parliamo noi, parlano del dolore, della colpa, della lacerazione che ogni uomo, se ancora non s'è ridotto a cosa, sente dentro di sé come sua dinamica, come sua potenza e come sua disperazione. Ma per questo bisogna restaurare nel folle la soggettività che la psichiatria ha abolito e disporsi di fronte al folle come di fronte al Signore di Delfi che non dice e non nasconde, ma, come scrive Borgna offrendo na traduzione forte e nuova del vero 'semainei', 'significa'.

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Dettagli

3
1998
5 dicembre 2006
Libro universitario
208 p.
9788807100970

Voce della critica


(recensione pubblicata per l'edizione del 1988)
recensione di Pascal, E., L'Indice 1989, n. 1

La fenomenologia ha fatto il suo ingresso nella cultura psichiatrica italiana nella seconda metà degli anni cinquanta. In modo provocatorio rispetto alle strutture di sapere, consolidate e statiche nella loro arroganza, la corrente fenomenologica ha aperto al pre-riflessivo, all'originario e consentito di ricuperare la globalità (perduta) dell'umana presenza io-mondo e dell'intersoggetività (medico-paziente).
Ma pochi psichiatri hanno avuto allora e negli anni successivi l'ardire di apprendere il metodo eidetico, di praticarlo nell'attività clinica e di restarvi fedeli. Tra questi si situa Eugenio Borgna che, oltre a insegnare psichiatria fenomenologica all'università, dirige attualmente il servizio psichiatrico dell'Ospedale Maggiore di Novara. Questo suo recente saggio - trattato è il frutto dei suoi incontri con gli studenti, ma soprattutto dei suoi incontri antropo-fenomenologici con i pazienti (psicotici).
Il titolo centra il problema epistemologico: conoscere è conflittuale, problematico, perché le "strutture del sapere" (psichiatrico) e le "esperienze della follia" rischiano di fronteggiarsi come entità inconciliabili. Già Jaspers Neva posto il problema della "incomprensibilità' pur avendo aperto alla descrizione (fenomenologico-soggettiva) con "una impostazione metodologica che ha immerso la soggettività (i vissuti dei pazienti) nel contesto non solo del processo conoscitivo (non c'è conoscenza dei fenomeni psicopatologici se non attraverso la mediazione e la partecipazione dei pazienti) ma anche nella relazione umana che si inserisce in ogni autentica struttura psicoterapeutica " (p. 16).
Rifacendosi soprattutto a Binswanger, Minkowski, Gebsattel e Straus, e quindi all'indirizzo fenomenologico-strutturale che sembra prediligere, Borgna scrive: "Mettendo tra parentesi ogni dottrina filosofica, l'incontro con il paziente psicotico si configura come scacco di ogni comunicazione reciproca nel contesto della sfera originaria del mondo-della-vita: e nel cogliere questa realtà, l'esperienza clinica rimanda a un problema,filosofico: alla conoscenza e alla analisi delle condizioni di possibilità della comunicazione come premessa ad ogni fondazione del discorso storico e sociale" (p. 34). L'autore affronta aree tematiche di straordinario interesse. Stupende le pagine sulla vita affettiva nella "schizofrenia negativa" (pp. 4048): Borgna ricorda che "quando si trasforma l'orizzonte di comunicazione interpersonale con chi è nella Gestalt schizofrenica, si frantuma allora (può frantumarsi) la condizione di ingannevole desertificazione emozionale; e si colgono fino in fondo l'intensità e la fragilità indifese della esistenza schizofrenica"(p. 41). Nell'esempio di Maria, la diagnosi può sembrare "incerta ed ambigua" dal punto di vista tradizionale, ma "è possibile sentire come schizofrenica l'esperienza psicotica di Maria solo nella immediatezza antepredicativa di una intuizione". E subito dopo: "Non è solo l'angoscia di Maria a scendere in noi con una tumultuosa incandescenza, a cui non possiamo sfuggire, ma è anche l'angoscia di non riuscire a metterci in relazione con lei... dalla quale ci separa invece la diversità del suo mondo nei confronti del nostro mondo" (p. 45-56).
A proposito di schizofrenia come "vortice della dissociazione' Borgna osservò: "L'esperienza (indicibile nella sua atroce dissolvenza esistenziale) della perdita della unità e della identità dell'io consente, così, di cogliere la Lebenswelt schizofrenica in una delle sue dimensioni essenziali" (p. 72). Nell'esempio di Emilia "solo dal diario, che la paziente ci consegna quando la crisi psicotica si è dissolta, ci è possibile cogliere e conoscere la dimensione profonda del disturbo della coscienza dell'io: il modo apparente di essere della paziente non faceva intravedere la entità della lacerazione"(p.74). Queste pagine si chiudono con richiamo a Manfred Blealer ("una vita schizofrenica è nascosta nella condizione umana" (p. 81).
Nelle conclusioni Borgna ricorda: "Considerare l'esperienza psicotica come una realtà umana che non possa essere semplicemente ridotta nell'area categoriale di una 'malattia', implica il cambiamento radicale di atteggiamento nei confronti del paziente e del contesto ambientale in cui il paziente si viene a trovare" (p. 190). E "quando questo avviene si ha uno spostamento radicale (assiale) da una psichiatria colta dalla parte del medico ad una psichiatria colta dalla
parte del paziente; e ci si accorge, allora, del fatto che i sintomi psicotici non tematizzano una realtà rigida e impenetrabile (che non sia modificabile se non dalla somministrazione farmacologica) ma tematizzano, invece, una realtà friabile e camaleontica che cambia, e si trasforma, in riferimento ai modi con cui il paziente viene avvicinato, accettato o rifiutato" (pp. 190-191). Cosi viene trascesa la rigida nosografia tradizionale e si fa sentire il richiamo alle aree istituzionali "ribaltate in senso anti-istituzionale", dove cambiano i modi di essere della psicosi, alla "sferzante contestazione della esistenza di una 'normalità psichica' astratta e formale" (Basaglia), e quindi alla psichiatria sociale che ne è derivata.
Borgna ripropone il tema della condizione umana nella sua globalità e nella molteplicità delle esperienze, ma soprattutto nella prospettiva dell'angoscia, termine attualmente quasi obsoleto in molti contesti psicoanalitici (che trattano di "disagio") o occultato dal prevalere dei "bisogni" o dei "dati epidemiologici" in troppi momenti di psichiatria sociale (anche democratica).
È difficile comunque non concordare con l'autore quando afferma che è opportuno aprirsi alla "'riconsiderazione radicale delle condizioni familiari e sociali in cui l'esperienza psicotica nasce e si sviluppa", ma che "questo non è possibile se non si ha coscienza (conoscenza) della costituzione tematica e formale delle esperienze psicotiche: della loro complessità e della loro articolazione storica; e questa conoscenza, ricondotta alle sue fondazioni interdisciplinari, non può fare a meno della fenomenologia" (pag. 192).
In tutto il corso del suo saggiò Borgna dimostra di avere conquistato quello riguardo che è visione per cogliere "l'oggetto di nuova specie" (Husserl) che la fenomenologia consente di intuire. C'è da augurarsi che altri - soprattutto tra i giovani - possano impadronirsi del metodo, il cui apprendimento è certamente arduo e - al momento - non regolamentato da scuola (ma come potrebbe esserlo?).

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Conosci l'autore

Eugenio Borgna

1930, Borgomanero

Primario emerito di psichiatria dell'ospedale Maggiore di Novara e libero docente in Clinica delle malattie nervose e mentali presso l'Università di Milano. È uno degli esponenti italiani di punta della psichiatria fenomenologica.Con Feltrinelli ha pubblicato diversi libri tra i quali: I conflitti del conoscere. Strutture del sapere ed esperienza della follia (1988), Malinconia (1992), Le figure dell'ansia (1997), L'arcipelago delle emozioni (2001), Come in uno specchio oscuramente (2007), Nei luoghi perduti della follia (2008), Le emozioni ferite (2009), La fragilità che è in noi (2014) e Il tempo e la vita (2015). Con Aldo Bonomi ha scritto Elogio della depressione (Einaudi, 2011). Nel 2015 esce per Einaudi Parlarsi. La comunicazione perduta e nel 2016 Responsabilità...

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