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grandi dolori sconvolgono la famiglia Cazalet, eppure la forza di ricominciare non viene meno.
Bello come i precedenti. Il titolo di questo tomo - Confusione - riflette ciò che accade ai personaggi che, tra perdite, amori ricambiati e non, ritorni, ecc., si preparano a ricominciare a ‘vivere’ dopo la parentesi della guerra.
Recensioni
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“Non abbiamo nemmeno una vaga idea di come sia la vita senza la guerra!”, si lamentano le cugine Cazalet: ai tempi della pace, quando erano piccole, erano soggette solo alle “regolette stupide” imposte dagli adulti, con lo scoppio della guerra tutto è cambiato.
Il terzo volume della saga dei Cazalet si apre nel 1942: Louise, Polly e Clary, che abbiamo conosciuto bambine in Gli anni della leggerezza (Fazi, 2015; cfr. “L’Indice” 2016, n. 2), hanno attraversato l’adolescenza con Il tempo dell’attesa (Fazi, 2016; cfr. “L’Indice” 2016, n. 9) si affacciano ora nel mondo degli adulti. Louise approda a un matrimonio prestigioso, che si rivelerà presto claustrofobico; Polly e Clary si trasferiscono a Londra per frequentare una scuola di dattilografia.
Archie, amico fraterno del padre di Clary disperso in Francia, diventa un punto di riferimento non solo per le due ragazze, che lo adorano, ma per tutti i membri del clan Cazalet, che lo considerano ormai uno di famiglia. Jane Howard ci racconta il modo in cui la vita degli inglesi è cambiata nel corso della guerra, soprattutto per le donne che hanno conosciuto in quegli anni possibilità inedite, sia lavorative, sia nell’ambito delle esperienze amorose e sessuali.
Il materiale autobiografico rielaborato nella saga è stato “a lungo lasciato decantare, come si fa con il vino”. Louise, Clary, Polly riflettono elementi biografici della stessa autrice: come lei sono cresciute negli anni della guerra in una relativa agiatezza economica, e un certo dissesto emotivo; come lei, coltivano ambizioni intellettuali o artistiche, che non incontrano grande incoraggiamento in famiglia.
Jane Howard ama ritrarre personaggi femminili che acquisiscono progressivamente consapevolezza di sé, nel tentativo di affermarsi, e si sforza di descriverli in modo libero, senza alcun tipo di giudizio morale. Queste giovani donne riflettono su come sarebbero state le loro vite senza la guerra e rischiano a volte di confondere felicità e normalità; incominciano a sospettare che “il matrimonio sia una disgrazia per la maggior parte delle donne”; si chiedono se sia possibile per loro essere felici nonostante la guerra; attendono fiduciose quello che le aspetterà dopo, quando finalmente “sarebbe iniziata una vita nuova, le famiglie si sarebbero ricongiunte, la democrazia avrebbe prevalso e le ingiustizie sociali di prima della guerra sarebbero state sanate in blocco”.
Insomma, “c’era tutto da sperare” e “tutto da desiderare” per il futuro post bellico.
Recensione di Luisa Sarlo
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