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“Fiesco è figlio dell’amore schilleriano per figure straordinarie, libere, che contano solo su se stesse, che si elevano sugli altri uomini, eccelse nel bene come anche nel male. Geniale condottiero, orgoglioso della sua casata, scaltro ed elegante, consapevole della propria capacità di guidare gli uomini e di servirsene per i suoi scopi, Fiesco è nello stesso tempo l’astuto ingannatore per il quale l’azione politica non è che un mezzo per raggiungere i suoi fini e il generoso leader senza il quale il riscatto della città sarebbe impossibile. L’orgoglio e la fierezza che lo guidano segneranno la sua fine ma lo innalzano ben al di sopra dei congiurati guidati da ideali nobili sì, ma limitati. Tra i due poli classici del dramma rivoluzionario settecentesco, da un lato il tiranno aristocratico, dall’altro i congiurati borghesi, si inserisce questa figura di nobile che non combatte per la sua classe ma si unisce ai ribelli, come veramente accadrà durante la Rivoluzione francese. Tuttavia il dramma non verte tanto sulla contrapposizione tra le degenerazioni dell’assolutismo settecentesco, impersonato dal corrotto Giannettino Doria, e l’ideale repubblicano della nascente borghesia, impersonato qui dall’intransigente Verrina, quanto sui conflitti psicologici e ideologici di Fiesco conteso tra fedeltà all’idea repubblicana e la tentazione del dominio personale. La lotta di Fiesco contro la tentazione, la sua temporanea vittoria e il definitivo arrendersi ad essa sono il vero contenuto del dramma”.(Maria Donatella Ponti)
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