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Il volume si propone di rispondere a due esigenze cruciali che connotano oggi il dibattito sul restauro dell'antico: la necessità di ricostruirne una storia diacronica e quella di tracciarne i confini disciplinari arginando l'incedere delle nuove tecnologie. La fisionomia scientifica dell'autrice, archeologa di formazione, direttrice per molti anni del settore archeologico dell'Istituto centrale del restauro e curatrice, insieme a Joselita Raspi Terra e a Giovanni Urbani, dell'edizione delle lezioni sulla Teoria del restauro di Cesare Brandi (Edizioni di Storia e Letteratura, 1963), le consente di tracciare un percorso che si dipana dall'antichità classica all'età contemporanea, in un testo che può costituire un viatico per le giovani generazioni di archeologi e storici dell'antichità che si dovranno confrontare con la tutela del patrimonio. Un'attenta e approfondita ricognizione delle fonti storiografiche greche e latine costituisce la base dei primi due capitoli, dedicati alla Grecia e a Roma, dove la Periegesi di Pausania, che nella sua ricognizione redatta in epoca ellenistica inserisce una serie di descrizioni sullo stato dei monumenti della Grecia antica, la Naturalis historia di Plinio e il De architectura di Vitruvio, forniscono esempi di reimpiego e di rifacimento, oltre che di restauro integrativo e manutenzione di templi e di sculture in marmo, ma anche di dipinti su tavola e di manufatti in bronzo e ceramica. Il tema del reimpiego e della reinterpretazione dell'antico costituisce poi il filo conduttore dei capitoli sul Medioevo e sul Quattrocento, mentre la vicenda del ritrovamento e del dibattito sull'integrazione del Laocoonte predomina nella sezione dedicata al XVI secolo, costruita sul solido architrave degli studi di Salvatore Settis e delle riflessioni sulla fortuna dell'antico di Francis Haskell e Nicholas Penny. Vengono inoltre illustrate le vicende del collezionismo di antichità nel Seicento ripercorrendo le tappe salienti del dibattito sul restauro, tra esercizio filologico dell'antico e libertà interpretativa, ed enucleando alcuni degli esempi più eclatanti di integrazione della scultura, da Alessandro Algardi a Gian Lorenzo Bernini. Per il Settecento il volume si muove velocemente nel solco profondo tracciato dagli studi di Orietta Rossi Pinelli e dei suoi allievi nel ricomporre il contesto della cultura antiquaria dei restauratori che, come Bartolomeo Cavaceppi, gravitavano intorno all'entourage di Winkelmann e apre lo sguardo verso gli scavi e le picturae ecxisae, di recente indagate da Paola d'Alconzo, di Pompei. Le controversie legate al restauro architettonico diventano invece predominanti nell'affrontare il XIX e il XX secolo. Un ampio spazio viene qui dedicato al caso dei restauri e dell'anastilosi dell'Acropoli e del Partenone, che offre numerosi spunti di riflessione sul dibattito contemporaneo, tra eccessi di interpretazione e smodata fiducia nell'applicazione e nelle potenzialità delle analisi scientifiche. Nel cercare un raccordo tra le teorie di Brandi e la loro applicazione all'ambito archeologico, l'autrice indaga poi gli orientamenti dell'archeologia contemporanea, proiettata sulle nuove tecnologie, sull'archeometria e su nuove frontiere di scavi, come quelli subacquei, che propongono nuove problematiche conservative, come quelle relative ai bronzi e ai legni imbevuti d'acqua, come gli scafi delle navi. La soluzione per far fronte alle complesse esigenze del restauro dei beni archeologici non può essere quindi estranea al dialogo interdisciplinare, in un terreno comune dove gli scienziati devono concorrere con gli archeologi e gli storici dell'arte alla definizione di un atto critico e conoscitivo. Maria Beatrice Failla
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