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Anno edizione: 2006
Anno edizione: 2015
Anno edizione: 2014
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Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Ottima lettura. Un sorprendente miscuglio di intelligenza arrogante (sebbene certamente formidabile), nazismo grammaticale e umorismo laconico. Molto divertente. Il suo saggio sull'11 settembre è particolarmente commovente. È un vero peccato che non possa scrivere altro.
‘Considera l’aragosta’ è uno dei migliori libri che possiate acquistare se siete interessati ad avvicinarvi al mondo di David Foster Wallace. Premettendo che sono una fan sfegatata di Wallace, vorrei consigliarvi di cuore questo libro perché trovo che racchiuda perfettamente l’essenza e lo stile dell’autore. In particolare ‘la vista da casa della sign. Thompson’ che racconta il tragico 11 settembre visto dalla casa di una vecchietta del Midwest. Consiglio in particolar modo questa edizione perché trovo che sia ben tradotta e con una grafica davvero accattivante.
Distinguere il DFW saggista dal DFW narratore e' un'operazione complicata e forse inutile; il suo massimalismo argomentativo finisce infatti per annullare la distinzione tra saggio e fiction. Wallace ci conduce alla scoperta di un'America insolita, mai conosciuta prima. Agli oscar del cinema porno, tra protesi siliconate e battute trash; al seguito di un candidato repubblicano eroe del Vietnam, e ad un curioso festival gastronomico nel Maine, dove servono prelibate aragoste ai turisti, dopo averle bollite vive. Una straordinaria carrellata di eventi e di personaggi singolari, intervallate da dotte lezioni sull'uso della lingua e recensioni letterarie. Un'altra grande prova d'autore firmata dal genio della letteratura moderna.
Recensioni
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Immaginate che l'apocalisse abbia preso le sembianze di un cocktail-party. È molto probabile che abbiate immaginato un libro di David Foster Wallace. Del resto in questa raccolta di saggi e articoli trovate anche la sentenza "immaginate che l'apocalisse abbia preso le sembianze di un cocktail-party". Frase scritta mentre è intento a sviscerare la cultura della cinematografia per adulti americana in un resoconto dalla notte degli Oscar del porno: a metà tra il gonzo-reportage à la Hunter S. Thompson e l'osservazione antropologica, per venirne a capo Wallace impiega 54 pagine e 55 note a pie' di pagina (che spesso gemmano a loro volta in sottonote, glosse di glosse e digressioni varie lunghe intere pagine).
E questo non è che il primo e più controllato dei dieci pezzi che compongono l'antologia: senza particolare preoccupazione si passa dallo stile delle biografie sportive alla campagna elettorale del senatore McCain, da certi aspetti della comicità in Kafka ai mille modi (e tutti estremamente dolorosi) per cucinare (cioè: uccidere) un'aragosta, passando per l'undici settembre, l'idioletto accademico ("un cancro verbale"), Dostoevskij e altro ancora. Tutti i saggi trasudano, letteralmente, intelligenza, ogni argomento viene tallonato in tutte le sue possibili implicazioni e disparate derive, ogni ragionamento svolto fino alle sue più estreme, impreviste, conseguenze (non ultima quella di logorare la pazienza del lettore). E tra un'arguzia e l'altra ("il rapporto tra una pubblicità di Calvin Klein e un film porno hard-core è essenzialmente lo stesso che c'è fra una barzelletta e la spiegazione del perché fa ridere") si vede bene come l'intento di Wallace non è certo "la bella pagina", o qualche variante postmoderna dell'art pour l'art, quanto piuttosto portare alla luce le ricadute sociali, e in definitiva politiche, dei fenomeni culturali e linguistici in cui, piaccia o no, siamo immersi. Il tutto senza mai perdere il tono brillante quando non schiettamente comico, quello stile elegante e confidenziale a un tempo che lo caratterizza. Non mancano neanche gli spunti autobiografici, piuttosto inquietanti: "A cena si faceva spesso un gioco: se uno di noi figli commetteva un errore grammaticale, mamma faceva finta di avere un accesso di tosse che continuava finché il figlio in questione non identificava l'errore e lo correggeva. A ripensarci ora sembra un po' eccessivo fingere che se tuo figlio parla in modo scorretto vuol dire che ti sta negando l'ossigeno".
La frase più ricorrente in questi articoli è "si potrebbero scrivere intere monografie sull'argomento": per quanto marginale, futile, trascurabile l'oggetto possa apparire in prima battuta, se aguzziamo la vista se applichiamo abbastanza intelligenza riusciremo a scorgere i fili sottili che lo legano a tutti gli altri fino alle più ingombranti questioni della convivenza umana. Come il blakiano universo in un granello di sabbia, o meglio ancora come un frattale, l'oggetto matematico capace di contenere l'infinito in uno spazio finito grazie alla sua complessità. E l'ossessione di Wallace per l'infinito e la matematica si è concretizzata anche in un saggio sull'argomento (Tutto e di più. Storia compatta dell'infinito, Codice, 2005). Questo horror vacui che spinge lo scrittore a riempire la pagina di dati, note, precisazioni, a rincorrere la realtà in tutte le sue deviazioni, soprattutto le più tortuose, le più "schifose" (Brevi interviste a uomini schifosi, Einaudi, 2000), a scrivere il primo romanzo di cinquecento pagine e il capolavoro di più di mille (Infinite Jest, Fandango, 2000; Einaudi, 2006), non è tanto una scelta estetica di chi è intelligente e purtroppo sa di esserlo, come accusano i (non pochi) detrattori, quanto un doloroso desiderio di realismo, rispondono i sostenitori (altrettanto numerosi).
Le pagine di Wallace, narrative e no, sono impregnate dalla nostalgia per un tempo in cui la letteratura era proprio questo mettere in gioco "profonde convinzioni e domande disperate" facendone un linguaggio condiviso e in grado di legarci in una comunità. Oggi invece, Wallace è lucidissimo nell'autodiagnosi: chiediamo "alla nostra arte di tenere una distanza ironica da profonde convinzioni o domande disperate, costringendo così gli scrittori contemporanei a ridicolizzarle o a cercare di farle passare camuffandole con qualche trucco formale come citazioni intertestuali o accostamenti incongruenti, relegando le cose veramente pressanti fra asterischi come parte di qualche artificio polivalente di defamiliarizazione o qualche cagata del genere". Va da sé che proprio lo stesso testo, il saggio su Dostoevskij, sia intervallato da considerazioni dolenti e radicali relegate tra asterischi, tenute a distanza dall'ironica ma estenuante autocoscienza postmoderna.
Il fatto è che la consapevolezza di questa impossibilità (di dire "io" senza ricorrere a maschere, a meta-narrazioni, a note, a citazionismi o a una prosa ipermuscolare al limite del doping: tutte cose squisitamente wallaciane) non basta a sciogliere magicamente l'incantesimo, anzi non fa che aggravare la situazione. La soluzione di Wallace, da buon apocalittico, è fare di questo limite, di questa impossibilità, l'oggetto principale della propria scrittura. Così, anche discettando di porno, aragoste e linguistica, non fa che mettere in scena l'impossibilità della comunicazione, allegorizza il proprio suicidio (come nel racconto Caro vecchio neon in Oblio, Einaudi, 2004) e con lui della letteratura tutta. Riempire la pagina di un'ingombrante massa celebrale, e solo di quella, serve a far risaltare tutto ciò che rimane fuori la solitudine, la disperazione, l'incomunicabilità, la morte del sentimento e dell'empatia e che non riesce a diventare scrittura, a essere espresso direttamente.
Il pericolo è che ricalcando mimeticamente i linguaggi e i codici di una cultura che della letteratura fa tranquillamente a meno, i suoi lettori, che di questa cultura, come lui, sono figli, non riescano a cogliere la differenza tra Infinite Jest e una puntata dei Simpson particolarmente ben riuscita. O tra l'apocalisse e un cocktail-party.
Francesco Guglieri
Ritorna lo scrittore piú originale degli Stati Uniti, la penna piú folle e coraggiosa degli ultimi anni: David Foster Wallace.
Reportage, indagini erudite, pezzi di costume, commenti, diari intimi: ecco l'America di oggi come non l'avete mai letta. L'America tutta intera, dalle aragoste ai repubblicani, dagli scrittori ai tennisti, dai video porno ai salotti delle vecchiette del Midwest. David Foster Wallace si conferma non solo autore di grandi opere narrative, ma anche - come nel caso di questo libro - osservatore finissimo, dotato di uno sguardo totale capace di attraversare un continente immenso per dimensioni e complessità e restituirne ogni dettaglio, ogni voce, ogni piega di dolore e di significato.
Raccontare l'11 settembre o l'ascesa della tennista Tracy Austin; analizzare l'ironia di Kafka o riflettere sul tragico destino delle aragoste; recarsi agli Oscar del cinema porno o unirsi alla carovana mediatica di un avversario di Bush nelle primarie repubblicane oppure seguire un talk-show reazionario: in questi scritti che vanno dal reportage all'indagine colta, dal pezzo di costume al diario intimo, Wallace ascolta la voce profonda dell'America rivelandosi un geniale pittore dell'ipermoderno e della cultura pop.
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