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recensioni di Meini, C. L'Indice del 2000, n. 03
I saggi che Sperber raccoglie in questo libro offrono preziosi spunti non solo a chi si interessa di antropologia - la disciplina originaria dell'autore -, ma anche a chi coltiva interessi in psicologia cognitiva e in filosofia.
Nel loro insieme i sei interventi intendono offrire una spiegazione causale dei fenomeni culturali. Per far ciò, l'autore concentra l'attenzione non sui fatti culturali astratti - che non potrebbero causare alcunché - ma sulle singole rappresentazioni pubbliche o mentali che, attraverso una catena causale, si trasformano in altre singole rappresentazioni, e così via. Per esempio non è a la storia di Cappuccetto Rosso che si fa riferimento, ma a quella particolare versione di Cappuccetto Rosso che la nonna mi raccontò in quel piovoso pomeriggio di tanti anni fa e che diede origine a un'altra rappresentazione nella mia testa. Tali rappresentazioni avevano numerosissimi antecedenti. Risalendo indietro si arriva alla versione originale, formata nella testa di Perrault e presto trasformata in rappresentazione pubblica. Esse diedero origine a un'epidemia di rappresentazioni, tanto che possiamo, con ragionevole approssimazione, parlare de la storia di Cappuccetto Rosso.
Una famiglia di rappresentazioni diffuse di questo genere, aventi più o meno lunga durata, costituisce un fenomeno culturale. Alcune rappresentazioni sono chiaramente più efficaci, più contagiose. Studiare la cultura equivale in questo senso a sviluppare un'epidemiologia delle rappresentazioni. È proprio nello studio epidemiologico, e in particolare per spiegare la variabilità nella diffusione culturale, che il ricorso alla psicologia diventa fondamentale. Le caratteristiche dei processi mnestici e di recupero contribuiscono infatti a chiarire le ragioni del successo o dell'insuccesso di una rappresentazione. Ma viene anche sottolineato il ruolo della pertinenza delle rappresentazioni. Nel far ciò, Sperber si richiama alla teoria pragmatica sviluppata con Deirdre Wilson, che ha proiettato l'autore verso la psicologia, la linguistica e la filosofia.
Ponendo l'accento sulla psicologia, Sperber prende le distanze da altri autori che hanno proposto modelli epidemiologici della diffusione culturale. Luigi Cavalli Sforza e Richard Dawkins, per esempio, hanno per così dire "preso eccessivamente alla lettera" l'aspetto biologico, sostenendo che, come i virus, le rappresentazioni sono soggette a duplicazione. Secondo Sperber, invece, in campo culturale la trasmissione perfetta è l'eccezione, mentre di regola le rappresentazioni si modificano nel diffondersi.
L'obiettivo è quello di naturalizzare la disciplina, mostrando la direzione verso la quale ricercare una continuità con le scienze naturali. Non si vuole pertanto negare valore ad altri approcci alla disciplina, che possono e devono coesistere con uno studio ispirato al modello epidemiologico.
Se vogliamo cercare un difetto di questo libro lo troviamo in una certa ripetitività. Ciò deriva dall'origine dei saggi, non appositamente scritti per costituire un volume, bensì destinati ad apparire in importanti pubblicazioni internazionali. Questo peraltro non impedisce di trovare spunti nuovi in ognuno degli interventi. Particolarmente interessante mi pare la tesi della modularità dei sistemi cognitivi centrali, che estende la posizione difesa da Jerry Fodor, secondo il quale questa proprietà è esclusiva dei sistemi percettivi e del linguaggio.
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