La trama è frugale. Alla fine degli anni venti del Novecento, nel porto dell'Avana l'offerta di pesce supera la domanda e non ci sono margini di guadagno: a volte si è persino costretti a ributtare le cernie in mare. Marinai e pescatori sono nella miseria più nera e pronti allo sciopero. Conviene dedicarsi al contrabbando di alcol verso gli Stati Uniti, dove vige il proibizionismo, schivando la polizia di Gerardo Machado e la guardia costiera nordamericana. Così decide di fare, essendo rimasto al verde, l'armatore dell'agile goletta La Buena Ventura, elegante rampollo della classe dominante che a causa di una "nevrastenia di origine sessuale" ha lasciato il lavoro di chimico dello zucchero per vivere delle tre imbarcazioni avute in eredità dal padre, e ora solca i mari per curarsi "i nervi rosi da dieci anni di rum e prostitute", e la noia e stanchezza che lo opprimono. I bizzarri membri della sua ciurma lo chiamano ironicamente "Ammiraglio" ed è lui la voce narrante della storia. Al suo opposto si colloca il comandante, detto "Squalo", sciatto ma deciso, abile sul lavoro ma finito in carcere come omicida, solidale con i compagni ma impermeabile quanto a sentimenti. È lo Squalo a proporre la via d'uscita del contrabbando e a condurre l'operazione, tra distillatori clandestini e sordidi trafficanti, fino alla consegna del carico.
Lo spessore del romanzo è però altrove, in primo luogo nella contrapposizione tra due antieroi: il codardo, pessimista, introverso e languido armatore in fuga dalla terraferma e il duro capitano avvezzo alla lotta e sprezzante del pericolo. Il loro rapporto, filtrato dal monologo interiore, ritma le pagine (e, secondo il critico cubano Alberto Garrandés, l'ammirazione dell'Ammiraglio per lo Squalo cela un innamoramento omosessuale). Il fascino del romanzo deriva in grande misura dagli ambienti magistralmente e minuziosamente descritti: l'assolata solitudine marina e il microcosmo della goletta da un lato, e i bassifondi portuali dell'Avana dall'altro. Quello di Serpa è un mondo abbattuto dal fatalismo, gonfio di rancori e superstizioni, rabbia e odio: vicoli rischiarati da luci meschine; meretrici simili a bambole di pezza male imbottite o a "un mucchio di cianfrusaglie lasciate ad ammuffire"; luridi cabaret pieni di sbronzi e imbroglioni, attaccabrighe e ladri; barcaioli "spazzini" che recuperano oggetti e persino frutta marcia tra i rifiuti scaricati in mare; rognose borgate e villaggi costieri fatiscenti, popolati di bambini anemici e straccioni. In questo clima angoscioso si aggirano anime straziate che si rannicchiano come lumache, accoltellatori con tutto il fegato che serve a difendere il loro onore di machos, marinai il cui approdo sono una prole senza speranza, mogli traditrici o carne da postribolo e sifilide.
Enrique Serpa (L'Avana 1900-1968) cominciò a lavorare fin da ragazzo, come garzone e impiegato, formandosi una vasta cultura da autodidatta. Si guadagnò presto un nome nel giornalismo cubano, specie con cronache e reportage, ma anche come poeta e narratore. Durante la dittatura di Batista fu responsabile stampa dell'ambasciata a Parigi. Dopo la rivoluzione rimase in disparte, ma le sue opere furono comunque ripubblicate per l'evidente contenuto di critica sociale, inteso come messa a nudo delle storture e degli abusi della "repubblica neocoloniale" controllata dagli Stati Uniti. In Contrabbando, un sintomo ribelle predice infatti la fine dell'ingiustizia, perché la società "è come una barca mal distribuita", con tutto il carico da una parte.
A Ernest Hemingway piacquero gli scritti marinari di Serpa, e dato che non lasciava certo il gomito tranquillo, tra un mojito e un daiquirí sembra l'abbia eletto a miglior romanziere latinoamericano. L'editore italiano non manca di infilare la frase in copertina. A parte la sublime ignoranza del grande gringo, che si trovava comprensibilmente a suo agio tra questi profili rudi, impetuosi e tormentati, Serpa è in effetti assai "hemingwayano" e qualcosa ha di certo prestato a Il vecchio e il mare. Ma persino nella narrativa cubana coeva ci sono autori più incisivi e interessanti, come Enrique Labrador Ruiz, Lino Novás Calvo o Carlos Montenegro, tutti purtroppo pressoché sconosciuti da noi. Tuttavia, Serpa merita di essere letto proprio per questo romanzo che è il suo capolavoro (ricevette nel 1938 il Premio Nazionale) e alcuni magnifici racconti di simile ispirazione, dove miscela un realismo crudo, venato di espressionismo nel ritrarre le patologie sociali, con affondi psicologici nel buio interiore di personaggi marginali, sempre sorretto da una scrittura accurata e nervosa.
Danilo Manera
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