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Ruggero Savinio, l?uomo alla finestra
È un procedere in apparenza svagato, da flâneur, quello di Ruggero Savinio nel suo ultimo libro, Il cortile del Tasso: un testo sospeso tra il memoir e il saggio, tra la riflessione esistenziale e il diario d’artista. L’exergo goethiano, «Chi negli amici suoi non vede il mondo / non è degno che il mondo lo conosca», tratto appunto dal Torquato Tasso, dà subito un primo annuncio del tema: annuncio parzialmente ingannevole, ma del resto quasi tutto lo è in questo libro lieve e denso come la materia della pittura. Ingannevole in primo luogo è la semplicità: l’autore racconta, volentieri divagando, come se stesse conversando con noi a voce bassa davanti a un camino, passando da un argomento all’altro senza soluzione di continuità: a prima vista questi passaggi sembrano governati da associazioni casuali, più che da leggi compositive; mentre man mano ci accorgiamo invece che l’apparizione e il ritorno dei temi, comprese le eventuali variazioni, obbediscono a una regola musicale, tanto precisa quanto poco esibita. In questo senso, l’affermazione di Savinio («la musica è un linguaggio paterno che non ho ereditato») forse non corrisponde del tutto a verità...
Leit-motif musicale in senso stretto è la Gerusalemme liberata, poema che accompagna tutto il libro, a tratti presentandosi con un accenno, a tratti scomparendo carsicamente, a tratti riemergendo nei punti più imprevisti e dispiegandosi come un canto (talvolta viene cantata per davvero: come nell’episodio riportato da Chateaubriand in cui durante un viaggio per mare, nel cuore della notte, un mozzo ne intona l’inizio). È intorno alla figura del Tasso, d’altronde, che si sviluppa la narrazione: il poeta (che, come vedremo, funziona da personaggio-specchio dell’autore) dà il nome al liceo frequentato da Savinio, dove ha inizio la serie degli incontri che in modo più o meno significativo scandiranno la sua vita. I primi a venir ricordati sono proprio i compagni di scuola, alcuni dei quali sono artisti famosi, altri invece del tutto sconosciuti. Alla fine di questo primo elenco c’è una chiosa: «Di tutti questi sono stato amico. Quasi tutti sono morti». Con questa enunciazione laconica fa il suo ingresso il vero tema del libro – di cui fa parte ovviamente la vecchiaia, condizione attuale del narrante –: per tutta la durata del testo amicizia e caducità s’intrecciano continuamente, con una lievità di tocco che esclude le note gravi o le sfiora soltanto. Eppure le storie tragiche non mancano, gli amici morti di morte violenta, i suicidi. Questo umor malinconico non è estraneo al personaggio del Tasso, «introverso, e portato alla cupaggine», connotati che l’autore riferisce anche a se stesso. Tasso è la pesantezza, contrapposta alla leggerezza e alla grazia di Ariosto: un territorio in cui Ruggero Savinio, nonostante il nome ariostesco, non si sente a suo agio.
Caratteristica del libro è la continua traslazione dei termini letterari in termini pittorici: le due forme espressive, i due linguaggi di Savinio, nella scrittura s’intrecciano e si integrano di continuo. Anche la Gerusalemme viene spesso descritta in termini pittorici – vedi l’insistenza sul paesaggio pastorale di Erminia, descritto come «paesaggio orizzontale, verde e acquatico», che ricorda da vicino molti quadri dell’autore. L’ora del Tasso è quella «a cavallo fra i diversi momenti del giorno», una luce altamente pittorica quindi, «emanata dalle cose più che diretta a illuminarle [...] una luce che, in termini di sentimento, corrisponde alla malinconia».
L’innesco narrativo dell’intero racconto è dato dalla costruzione di un cantiere, proprio sotto le finestre di casa Savinio, al centro di Piazza Dante: piazza un tempo occupata da un giardino, e ora invasa dalla minacciosa presenza di ruspe e betoniere, all’opera per trasformare la sede ottocentesca delle Poste negli uffici dei Servizi Segreti. L’uomo che guarda dalla finestra i lavori, ora fermi, inizia da questo cambiamento il suo viaggio nel passato: «Probabilmente queste scritture erratiche che girano intorno a un centro che ne comprende altri: un poeta epico, o meglio, epico-lirico, che contiene il nome della scuola dove ho passato l’adolescenza [...], queste scritture, dunque, cercano di trovare un senso alla mia vita, proprio adesso, nel tempo che, come si dice, è tempo di bilanci».
Recensione di Raffaella Battaglini.
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