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Una grande lampadina illumina dall'alto una piramide umana. La copertina di Mulazzani, con un'estetica naif, ci introduce nel mondo della creatività, dove le idee già pensate sono sostegno e stimolo per nuove creazioni. La brillante copywriter Annamaria Testa cura una riflessione corale con contributi di Bodei, Zeki, De Mauro, Lindquist, Prodi, Calabrese, Volli, Canova, Serra e altri.
È da molto tempo che gli esseri umani si interrogano sulla creatività, termine di "smisurate ambizioni" (Ugo Volli) e al centro di nuove attenzioni dopo che ha preso corpo la convinzione che il sistema-paese soffre più che mai di un deficit di creatività; siamo fuori classifica nella produzione di brevetti (Giuseppe Turani, intervista a Marco Zamperini su "la Repubblica" del 7 febbraio 2005); il futuro apparterrà ai creativi (Robert Reich su "La Repubblica" del 9 gennaio 2006). Fortunato sarà il paese in grado di creare le condizioni perché si incontrino le virtuose tre "T" (talento, tecnologia, tolleranza) teorizzate da Richard Florida.
Una definizione fertile e universale del concetto di creatività l'aveva data all'inizio del secolo scorso Poincaré: capacità di unire elementi preesistenti in combinazioni nuove e utili. Niente si crea dal niente, e il creativo non può non possedere capacità di discernimento per selezionare gli elementi utili sulla base di competenza, intuito ed esperienza. Creatività, insomma, come congiunzione di nuovo e utile. Questo nesso è stato al centro del convegno svoltosi a Firenze nel 2004, di cui Annamaria Testa ha orchestrato le voci di cineasti, linguisti, storici, giornalisti, economisti, pedagogisti, biotecnologi e massmediologi. Quando si parla di creatività, talento o inventività si parla necessariamente di scienza, arti e molto altro: un terreno dove non è possibile separare semina e raccolta.
Negli anni venti del secolo scorso Wallas ebbe a enumerare quattro fasi del processo creativo: preparazione, incubazione, illuminazione o insight , verifiche. Non è chiaro però ancora oggi come ci si sposti da una fase all'altra. Bodei parte da lontano, ricordandoci come la creatività sia sempre stata guardata con il sospetto di ogni hybris pericolosa e dissipativa; un'antica e pericolosa sfida alle leggi divine (come Icaro insegna). Perdurerebbe insomma quella svalutazione operata dal cristianesimo, che sempre ha ritenuto la curiositas inutile e nociva per la salute dell'anima. Anche quando la natura, fonte inesauribile di imitazione, viene piegata catturandone le energie naturali per gli usi umani, la diffidenza per il faber rimane: mechané è pur sempre astuzia, inganno, artificio. Einstein diceva infatti che è più facile disintegrare un atomo che un pregiudizio.
Con il secolo dei Lumi si sviluppa un pathos per l'innovazione. La creatività che attraverserà l'Ottocento e il Novecento sarà premiata anche da mosse controintuitive, a prima vista anarchiche, ma che in effetti ricontestualizzano i problemi.
Tra le voci ospitate, quella del neurobiologo Semir Zeki, ci introduce nei concetti mentali, offrendoci il lato nascosto dell'"ambiguo": qualcosa che non esprime vaghezza, ma al contrario, certezza, almeno nel senso di molte differenti interpretazioni, ognuna delle quali, per merito del fuggevole e misterioso gioco di interferenze tra emisferi e sinapsi, si fa sovrana per un attimo. Si sa bene che le opere d'arte migliori sono quelle che l'osservatore può completare. È infatti il non-finito e l'incompiuto che possono attivare più concetti cerebrali. Per creare qualcosa di nuovo e di diverso può bastare anche un particolare, un dettaglio. Winckleman per indicare la perfezione dell'arte ellenica scelse il Torso del Belvedere , conservato nei Musei Vaticani: un solo frammento. Esiste certamente più di un tipo di creatività, perché se due sono gli emisferi del cervello, molteplici sono invece le modalità del pensiero. C'è una logicità che procede per sequenze e una non logicità (non illogica) che cambia contesto, e si sposta per analogie e per metafore. Il creativo, ricorda Bateson, possiede qualità transcontestuali, mentre lo schizofrenico ne soffre le confusioni. Fantasia e fantasma, sintomo e simbolo sono vicini di casa. Il creativo ha il dovere di coordinare e di mettere in forma le sostanze delle proprie rêverie , assumendosi la responsabilità di comunicare le intuizioni per produrre risultati accettabili.
Si narra che Sherlock Holmes stupisse Watson trascinandolo a un concerto nel bel mezzo di un enigma da risolvere. Non solo disturbi emotivi e sbalzi d'umore, ma anche il sonno e il rilassamento mentale partecipano alla sorpresa dell'evento creativo. Arriva mentre fai tutt'altro (nel dormiveglia, o addirittura come alcuni comunicatori sostengono, nel bel mezzo di una pausa fisiologica). L' insight di cui parla Oliverio è un'appercezione improvvisa, rivelatrice di qualcosa che cercavi, che a un certo punto scatta come un interruttore.
De Mauro preferisce tessere l'elogio di Gian Babbeo, uno stralunato nella favola di Andersen, che con pochi mezzi di fortuna riesce a smuovere il sorriso della principessa. Sa adattarsi al contesto e alla situazione. La "morale" della favola è che non si tratta tanto di distruggere le regole esistenti, quanto di crearne nuove: genio e regolatezza . Ogni codice del resto evolve, e così i codici dei codici, e i sistemi aperti sono quelli che (per la precisione) si possono definire " non non creativi".
Nel testo trovano posto riflessioni più legate alle applicazioni pratiche: architettura, design, media e comunicazione. L'urbanistica, ad esempio, ci ha convinto che lo spazio è un'ancora della vita sociale. Un'antropologia della creatività dunque può stendersi in lungo e in largo: trovare nella colla delle cozze un'applicazione biotech, oppure fare i conti con la medicina e inserire la cura Di Bella tra i massimi immorali eccessi di creatività. Omar Calabrese si muove su un terreno più controllabile e va a rintracciare nel surrealismo e futurismo due buoni esempi di espressioni estetiche: le prime nella loro capacità di defunzionalizzare gli oggetti, i secondi nel fare un'arte attuale, abile nel confrontarsi con la contemporaneità. Majakosvkij del resto fu consapevole che, se le poesie si possono leggere sugli scatoli dei fiammiferi, l'arte è finita. Così la merce artistica è una merce come tante altre, mentre la pubblicità, proprio per il fatto di dover vendere le merci, o farne il ritratto, può avere capacità maggiormente liberatrici. Il messaggio wahroliano mi sembra colto in pieno: cos'altro ha rappresentato la pop art se non la capacità di risemantizzare, valorizzare, trasformare, quello che l'industria svilisce e banalizza?
I processi creativi si basano su similarità e contrasto, analogia e sintesi, componenti del sistema visivo. Canova si occupa di cinema, e dice che se c'è un cinema nuovo è perché nasce dal conflitto, dalla coercizione, dai fantasmi. Oggi che i media si incrociano, è utile proporre il termine di "rimediazione", nel senso che per esempio Micheal Moore fa un cinema che rimedia la tv. I media sono luoghi deputati, a far sentire lo scricchiolio tra progetto e quotidianità. Silverstone colpisce al cuore almeno tre paradossi: l'innovazione tecnologica è rapida, mentre quella socioculturale è lenta; vige una forte tensione tra squali e pesci piccoli; permangono sfide e attriti tra il politico e il commerciale, ciò che è serio e ciò che diverte. Una società egoista, barbara e decadente potrà mai produrre creatività? È sempre arduo affrontare temi culturali, gli esseri umani sono inaffidabili e se sposano la qualità, è per poterla tradire meglio.
Lelio Semeraro
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