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E' più vero il titolo ("cronaca") che il sottotitolo ("storia"). Più che un tentativo di inquadramento storico, infatti, il libro di Nicotri è una cronaca fattuale dell'ascesa e declino di un manipolo di malavitosi giornalisticamente noto come banda della Magliana. Uno dei difetti del libro è proprio quello di non aver preliminarmente tentato di circoscrivere l'ambito della banda. Uno dei meriti maggiori è invece la demitizzazione di episodi o personaggi (anche se la verità processuale non sempre combacia con la verità storica).
Il giornalista Nicotri sente l'obbligo, nel raccontare i fatti, di smentire qualsiasi ricostruzione non supportata da riscontri oggettivi. Nel qual caso, l'autore si prefigge come obiettivo quello di far dubitare, ove non riscontrate, delle "rivelazioni" dei pentiti, talvolta dettate da malanimo nei confronti degli ex complici, spesso dalla volontà di sminuire le proprie responsabilità, ma, al tempo stesso, di ingigantire i segreti di cui si è a conoscenza. Nel narrare avvenimenti ormai assodati, in qualche caso cristallizzati in sentenze passate in giudicato, Nicotri sfata qualche luogo comune che oggi non ha più ragioe d'essere. Primo fra tutti, proprio il fatto che non si trattò di una vera banda (l'espressione «Banda della Magliana» fu un'invenzione giornalistica d'indubbia fortuna, ma di scarsa aderenza alla realtà), ma di un reticolo di batterie di quartiere, la cui importanza crebbe con l'aumento del giro d'affari criminale (dalle scommesse ippiche alle rapine, dai sequestri di persona al traffico in grande stile di eroina e cocaina). Anche così si spiega la sanguinosa resa dei conti che avvenne tra i membri stessi della banda, dopo l'omicidio di Franco Giuseppucci che, più che il capo (che mai ci fu), era il punto d'equilibrio dell'intera organizzazione. Ma Nicotri smonta anche altre leggende metropolitane, come il coinvolgimento della banda nel sequestro Moro e negli omicidi di Pecorelli e Calvi, talune anche fiorite recentemente, come quella del ruolo della banda nella scomparsa di Emauela Orlandi. Chiudono il libro un'intervista al magistrato Lupacchini (uno dei primi a comprendere, nonostante diversi errori di valutazione, l'unità del disegno criminoso che aveva unito le batterie romane), l'intervista ad uno degli avvocati che assistono alcuni membri della banda, e una lunga lettera della moglie di "Renatino" De Pedis.
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