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Martucci, come è nato l’incontro con Gabriele Paparelli? "Mi ha chiamato nel dicembre del 2008 perché aveva letto alcuni miei libri. Sono rimasto colpito da Gabriele perché è un portatore sano di una vicenda tragica e dimenticata. Tutto quel vissuto, inedito e sconosciuto, è diventato il nostro progetto editoriale. La vicenda Paparelli è una sorta di Araba Fenice che scompare e ricompare dalle proprie ceneri per poi tornare nel dimenticatoio. Lo testimonia il fatto che nessuno avesse mai scritto un libro sulla tragedia di Vincenzo Paparelli e in tanti, soprattutto i più giovani, non conoscono la sua storia".Chi era Vincenzo Paparelli? "Era un uomo del popolo, un operaio e un figlio della Roma degli anni Settanta. Aveva un'officina a conduzione familiare, si era costruito una casa e lavorava duro per comprarsi il primo televisore e la macchina o per fare la sua prima vacanza. La sua era una famiglia tipica della periferia romana di quegli anni. E poi era innamorato follemente della Lazio".La sua tragedia è figlia di quegli anni? "Sicuramente sì. E' stato un omicidio non voluto però, nella sua casualità, figlio degli anni Settanta. Tutto il contesto di odio e scontro portava a scrivere sui muri slogan come 'uccidere un fascista non è reato' oppure 'morte ai comunisti' e contemporaneamente '10, 100, 1000 Taccola' oppure '10, 100, 1000 Re Cecconi' (giocatori di Roma e Lazio scomparsi in quegli anni ndr). Questi erano i toni dello scontro dialettico dei giovani che vivevano a Roma".Slogan che colpirono anche i Paparelli. "Soffocata la tragedia familiare, Vincenzo Paparelli è diventato una icona da sbeffeggiare per offendere i laziali. La signora Vanda, moglie di Vincenzo e mamma di Gabriele, è quella che ha sofferto più di tutti. Si è trovata al centro di un conflitto generazionale fatto di telefonate notturne con insulti, scritte sui muri sotto casa e macabri stornelli. Per lei è stato uno shock traumatico e porta ancora le cicatrici. Non riesce ad avvicinarsi allo stadio"
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