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"Danza delle ombre felici" è il primo libro scritto da Alice Munro cinquant'anni fa, attuale come se fosse stato concepito ieri. Un libro solido, da cui trapela la forza del monito, anche riprendendolo in mano in un momento qualunque, per leggere una frase a caso. L’autrice come sempre tocca vette altissime servendosi del minimo indispensabile, procede per sottrazione, come nel primo racconto, in cui per descrivere la monotonia del paesaggio utilizza l’assenza: “Giochiamo a Colori, ma non ce ne sono tanti in giro. C’è il grigio dei fienili e dei capanni, dei gabinetti e delle case, c’è il marrone dei cortili e dei campi, il nero o il marrone dei cani. La ruggine forma sulle carrozzerie delle macchine chiazze arcobaleno, nelle quali mi sforzo di individuare il verde o il viola; sbircio anche le porte, sperando in un po’ di vernice scrostata, magari gialla o amaranto.” Brevi storie amare con un universo dentro, tra cui spicca "Lo studio”, una battaglia tra il rigore certosino della lucidità e le tenebre irrazionali dell’ansia nevrotica, facile e cieca. Un capolavoro di equilibri tra detto e non detto, in cui il sottotesto rimane fra le righe, pronto a sbocciare per chi lo voglia cogliere. "Aveva quella passività incerta, quell’aria di infinita stanchezza e di silenziosa apprensione che raccontano di una vita passata a occuparsi di un uomo via via energico, iracondo, dipendente. (…) Da un po’ mi portavo a casa il manoscritto ogni sera per impedirgli di leggerlo e ora anche quella precauzione mi sembrava indegna di me. Che importanza aveva se veniva a leggerlo? Non più che se dei topi ci avessero scorrazzato sopra al buio.” Alice Munro già all’epoca sottolineava quanto le distinzioni di genere permeassero la nostra cultura, cominciando tra le mura domestiche, dalle considerazioni fatte dai familiari nei confronti delle giovani generazioni: “A differenza di quanto pensavo, una femmina non era semplicemente quel che ero, bensì ciò che dovevo diventare.”
A partire dal titolo (splendido) questa raccolta di storie merita di essere considerato un "classico". Suadente e raffinata, con la placida energia di un fiume che scorre, e lambisce campi, vite e strade, raccontandone l'essenza.
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