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Anno edizione: 2015
Anno edizione: 2006
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Il 22 maggio 1945 a Milano, durante una riunione congiunta del Comitato di liberazione nazionale e del Comitato di liberazione nazionale dell'alta Italia, Leo Valiani sentì parlare De Gasperi per la prima volta, ricavandone un'impressione decisamente favorevole. In quell'occasione, l'esponente democristiano "non si discostò molto dalle sinistre nelle promesse di vasta epurazione, di nazionalizzazioni o controllo dei lavoratori, di riforma agraria". Ma poi parlò anche d'altro. Sottolineò infatti la necessità di un governo che fosse al di sopra delle fazioni politiche e rappresentasse l'imperiosa esigenza di ricostruire lo stato, il rispetto del diritto, l'efficacia delle leggi. Non si dilungò in proposito, "ma disse l'essenziale". Il rappresentante azionista formulò a caldo un giudizio che, sia pure approssimato per difetto, si rivelò profetico: "Quest'uomo ci governerà per cinque anni".
La testimonianza di Valiani riassume bene il senso di quel momento storico. Fra tutti i protagonisti di quell'epoca, De Gasperi era l'unico ad avere una visione chiara non solo delle priorità da perseguire, ma dei mezzi con cui avvicinare e raggiungere i propri obiettivi. Gli obiettivi che il leader democristiano poneva come essenziali erano sostanzialmente due, fra di loro gerarchicamente ordinati. In primo luogo, garantire, nel passaggio di poteri che doveva avvenire fra il comando alleato e il governo italiano, la continuità dello stato, come irrinunciabile salvaguardia del residuo patrimonio risorgimentale. In secondo luogo, assicurare la fondazione di un sistema democratico-liberale funzionante nei suoi snodi essenziali, per poter reintegrare a pieno titolo l'Italia nel consesso internazionale e assicurarne l'ordinata crescita economica e civile. Il fatto che entrambi i traguardi prefissati venissero raggiunti con successo legittima la dizione di età degasperiana per definire quella ormai lontana stagione politica.
Tuttavia, la superiorità politica espressa dallo statista trentino nella stagione del dopoguerra non era casuale, ma esprimeva una perfetta consonanza tra circostanze storiche e vicenda biografica. Tale piena sintonia risalta in modo convincente nel libro che Piero Craveri ha voluto dedicargli. La storiografia su De Gasperi è del resto ricca di contributi spesso pregevoli. In gran parte, però, essi si concentrano sulle vicende biografiche in senso proprio, ovvero puntano l'attenzione sul dopoguerra che segna lo zenit della sua parabola. Questa biografia politica segna una tappa importante nella letteratura sull'argomento proprio perché sceglie un diverso e più comprensivo approccio. Lo studio, pur dedicando grande spazio al decennio 1943-53, segue con dettaglio analitico la sua carriera pubblica dagli inizi fino alla scomparsa, disegnando un ritratto completo dello statista trentino. Solo dando il giusto rilievo alle molteplici esperienze attraverso le quali De Gasperi era venuto arricchendo e affinando le proprie doti intellettuali e morali è infatti possibile comprendere la sintesi politica che seppe esprimere con naturalezza negli anni difficili della ricostruzione.
Nato nel 1881 nel trentino austriaco da una famiglia di modeste condizioni e di salde tradizioni cattoliche, De Gasperi comincia il suo apprendistato nell'associazionismo e nel giornalismo cattolici, prima di venire eletto deputato al parlamento di Vienna. In quel periodo, fino alla prova difficile della guerra, difende coraggiosamente le ragioni di una minoranza nazionale in un impero multietnico. Il dopoguerra lo proietta su di uno scenario diverso, quello della crisi dello stato liberale italiano. Una stagione nella quale rappresenta con coerenza l'anima parlamentare e costituzionale del popolarismo sturziano. L'affermazione del totalitarismo fascista suggella con il carcere la fine di quell'esperienza. Ci sono poi gli anni della lunga vigilia, quando De Gasperi, che sopravvive grazie a un modesto impiego alla Biblioteca vaticana, ha modo di rimeditare la sua esperienza precedente, analizzare il presente, mettere a fuoco le ragioni dell'avvenire. Appena sembra aprirsi uno spiraglio, ancor prima della caduta del regime mussoliniano e della ripresa della vita libera, comincia a riorganizzare le fila del partito cattolico.
Gli storici sono soliti far cominciare l'età degasperiana con l'assunzione della presidenza del consiglio nel dicembre del 1945. Tuttavia la sua leadership, che era il frutto di questa lunga maturazione, si impone nei fatti già in precedenza. Essa si può caratterizzare sinteticamente come la capacità di adoperare una non comune abilità manovriera, dote che gli era stata sempre riconosciuta, per realizzare scelte politiche di ampio respiro. Tale attitudine si rivela anzitutto nella fase di fondazione della Democrazia cristiana, quando riesce a far accettare dal Vaticano la scelta di un partito dei cattolici senza urtare la suscettibilità delle gerarchie. Successivamente essa si conferma, in quel periodo cruciale che va dalla liberazione di Roma alla fine delle ostilità, quando, nel dicembre 1944, assume l'incarico che appare, in quel momento, il più ingrato. Diventa infatti ministro degli Esteri nel secondo gabinetto Bonomi, quando le quotazioni internazionali dell'Italia sono decisamente in ribasso. Da quella posizione, con un paziente lavoro diplomatico, non solo riesce a fare acquisire al nostro paese una semisovranità, ma comincia a caratterizzare la politica estera italiana in senso marcatamente filo-occidentale.
Senza dubbio il suo maggiore successo politico sono le elezioni del 1948 perché, in una situazione drammatica, riesce a catalizzare i timori e le pulsioni emotive che attraversavano l'opinione pubblica verso il partito da lui diretto. D'altronde, se il risultato del 18 aprile consegna alla Dc una rendita amplissima, che il partito continuerà a gestire per oltre un quarantennio, De Gasperi riesce a non rimanere prigioniero della sua vittoria. Prima e dopo il 18 aprile, infatti, mantiene un rapporto privilegiato con i partiti laici. Questo era certo un modo per contenere le spinte integraliste del suo partito; tuttavia, come sempre, la manovra non aveva solo un significato tattico, ma era al servizio di una politica lungimirante. Grazie al contributo di personalità come Einaudi, Sforza e La Malfa, Alcide De Gasperi riesce prima a riassestare l'economia italiana, ponendo le premesse del boom economico, e successivamente può reinserire l'Italia a pieno titolo nella comunità internazionale, facendole svolgere anche un ruolo decisivo nelle prime iniziative europeiste.
In conclusione occorre sottolineare un ultimo aspetto. La ricerca di Craveri segna una tappa significativa negli studi di storia politica italiana, per un motivo che esula dall'indubbia riuscita della sintesi. La storiografia politica italiana è sempre stata caratterizzata da compartimenti stagni. Gli studiosi di estrazione cattolica studiavano il popolarismo sturziano; quelli marxisti si interessavano alla storia del movimento operaio; i laici dedicavano la loro energie all'Italia liberale. In definitiva, la storia dei partiti veniva praticata spesso con una divisione del lavoro che pareva fissata dal manuale Cencelli. Questa biografia di De Gasperi indica che una stagione è forse definitivamente conclusa, visto che uno storico di estrazione laica può dedicare uno studio di largo respiro al principale uomo di stato cattolico.
Maurizio Griffo
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