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Seguire lo stile di de Unamuno è davvero piacevole e sorprendente. Il suo linguaggio pare quello di un confidente che ti prende a braccetto e cerca di chiarirti quel che ne pensa del senso della vita. Perché l'opera di questo grande autore è in questi interrogativi: che ne è della mia vita dopo la morte? che ne sarà della tua, lettore? Ne vogliamo discutere? Per de Unamuno la condizione umana, innanzitutto dell'uomo individuale, ma anche dei popoli, è tragica, lacerata dal sentimento e dalla ragione, dalla scienza e dalla religione, dalla filosofia e dalla teologia. In ogni religiosità dell'uomo concreto, il sentimento è nel desiderio di vivere, di continuare a vivere di più e meglio, ed è per questo che tale sentimento non può fare a meno della fede, grazie alla quale si confronta con la morte, nella speranza di superarla nell'immortalità con la garanzia che ciò sia possibile grazie al Risorto, che venuto sulla terra ci ha riscattato dalla morte, e col Padre e lo Spirito e la Madre è coscienza personale di tutto l'universo. L'uomo che crede non si chiede quale sia la causa efficiente della realtà, ma quale ne sia il fine, lo scopo, perché l'uomo è alla ricerca ineludibile di un senso, di una finalità, e nella Fede, tutto è finalizzato in Dio, scopo di ogni realtà e di tutta la realtà. E tuttavia tale sentimento, per quanto genuino e semplice, è sempre stato denigrato dalla ragione, dalla filosofia razionalista, dal positivismo e dallo scientismo. E la stessa teologia che ha voluto custodire tale sentimento, con la ragione ha finito per costruire sistemi paradossali, raziocinanti, lontani dal sentimento e dalla ragione stessa. L'aquinate non ne esce molto bene. Ma neanche i razionalisti come Spinoza. Un sentimento dunque che la ragione rende disperato, ma è proprio in questa disperazione, nella lotta fraterna tra un sentimento disperato e una ragione incerta, che la fede sgorga dall'abisso della coscienza, nell'istante della disperazione e dell'incertezza.
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