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recensione di Stame, N., L'Indice 1996, n.10
Ecco finalmente un libro agile sulle teorie della decisione e sui processi amministrativi, che unisce alla chiarezza espositiva di un corso avanzato il coraggio di mostrare agli attori sociali e istituzionali vie inconsuete, ma più realistiche, per governare il processo di una politica.
Tra i tanti argomenti che il libro affronta - nella sua scansione tra decisioni (cap. I), articolazioni istituzionali (cap. II) e strategie (cap. III) - mi piace seguire l'autore nella sua metafora sartoriale (è questa la ragione dell'ago e filo in copertina?) che gli fa collegare l'insoddisfazione per il de-cidere/re-cidere evocato dall'idea di Gordio con l'aspirazione a unire, assemblare, cucire le risorse di cui dispongono i diversi attori.
È sorprendente che il modello "razionale comprensivo" - adottare mezzi che permettano di raggiungere fini dati nel modo più efficace e meno costoso possibile - goda ancora di tanto prestigio tra teorici, politici e amministratori nonostante la sua incapacità di render conto dei percorsi accidentati delle politiche. La spiegazione suggerita dall'autore è che il suo successo culturale derivi dalla "ambizione di contrastare nello stesso tempo l'irrazionalità della politica e l'irrazionalità delle burocrazie formali, e dalla sua capacità di avvalersi dei nuovi mezzi offerti dalle tecnologie dell'informazione". Esso continua ad apparire più forte sul piano prescrittivo: recenti provvedimenti di riforma sono tra noi a dimostrarlo. Si concede infatti generalmente che, dati i suoi proibitivi presupposti, il modello razionale comprensivo sia applicabile solo in situazioni limitate di certezza e assenza di conflitti. Ma lo si ritiene più cogente di altri modelli decisionali considerati via via più applicabili (da quello cognitivo della razionalità limitata, basato sul criterio della soddisfazione, a quello incrementale dell'interazione e dell'adattamento, basato sulla ricerca dell'accordo, a quello del "bidone della spazzatura", basato sull'incontro casuale tra problemi e situazioni). In tal modo si continua a coltivare l'idea della superiorità del primo. L'insuccesso delle politiche viene attribuito alla mancanza di qualcuno dei suoi requisiti, cui si mira anche a costo di eccessive semplificazioni: far sì che gli obiettivi siano chiari e univoci, l'amministrazione sia separata dalla politica, ci sia un'unica amministrazione competente per ogni problema, si possa decidere con calma e al di fuori dell'urgenza, si possano raccogliere tutte le informazioni possibili, e via fantasticando.
Bobbio capovolge l'argomento. La pretesa di trovare una volta per tutte una soluzione adatta a un problema può essere addirittura nociva. Le soluzioni prospettate prima che gli attori possano comprendere il problema rischiano di essere rovesciate in seguito, dando luogo a sprechi e blocchi.
Riconoscendo una maggiore dignità prescrittiva a quei modelli decisionali che suggeriscono "strumenti di intervento più flessibile che trasformino la complessità dei problemi e delle reti di attori in una opportunità, anziché in un vincolo", Bobbio costruisce una visione del governare come "processo di assemblaggio o di montaggio in cui diversi attori interagiscono per scambiarsi risorse nel corso del tempo" e per il quale è possibile formare capacità di tipo interattivo, in grado di anticipare le reazioni degli interessati, ridefinire i problemi in modo da renderli accettabili, negoziare.
Questo impianto viene messo alla prova su due ambiti: quello dei cambiamenti delle amministrazioni, che corrisponde alla complessità dei problemi; e quello delle strategie degli attori, che corrisponde alla molteplicità delle loro risorse.
Nelle condizioni in cui lo stato sociale si è dilatato verticalmente (verso la sovranazionalità e verso il federalismo) e orizzontalmente con l'intersecarsi delle politiche, e di fronte ai conflitti tra enti che reclamano tutti la natura di interessi pubblici, la tendenza all'assemblaggio si fa strada nelle forme del partenariato pubblico-pubblico (gli "accordi di programma", le "conferenze dei servizi") e dei continui scambi tra sfera pubblica e privata. Tuttavia le logiche amministrative negoziali che dovrebbero adattarsi a queste nuove istituzioni stentano ad affermarsi: quando il negoziato è praticato ma non riconosciuto è facile che prevalgano particolarismi e corruzione.
Quanto poi alle strategie degli attori, Bobbio contesta la possibilità di riconoscere di volta in volta la supremazia di risorse legali, politico-clientelari, tecnico-scientifiche, finanziarie, ritenendo che sia più realistica una strategia che combini le diverse risorse in funzione dei problemi e degli stakeholders. Egli poi contrappone alle strategie esclusive della razionalità tecnico-scientifica quelle inclusive, che pongono gli attori di fronte a un problema e non a una soluzione. Queste ultime richiedono capacità di attivare forme di coordinamento tra le parti, sia di tipo negativo (silenzio-assenso), sia di tipo positivo, come appunto le forme di partenariato. Nonostante la maggiore complessità e i superiori costi di transazione, un efficace negoziato è più facilmente raggiunto spingendo le parti alla partecipazione e trovando forme di rilevazione delle preferenze dei cittadini che vadano al di là dei meri sondaggi di opinione.
Confrontando le diverse logiche che sottendono le riforme attualmente in discussione, l'autore apre la strada a un modo possibilista di pensare alle istituzioni, di cui restano ancora da esplorare molte potenzialità. Penso in particolare ai rapporti positivi che alcuni sindaci eletti direttamente sono riusciti a creare con parti dell'amministrazione, forti del rapporto diretto con rappresentanze di cittadini. Penso ancora a come potrebbero essere improntate a una logica negoziale anche pratiche nate col modello razionale comprensivo, come il perseguimento del risultato (basti pensare a Reinventing Government).
Penso anche alla valutazione delle politiche, nata nell'ambito dell'impostazione razionale comprensiva ma sviluppata con approcci interattivi che si ispirano al modello cognitivo e a quello incrementale, lavorando sulla ridefinizione dei fini in vista degli andamenti dei processi, e della necessità di tener conto della compresenza di attori in conflitto tra cui favorire l'incontro. Per non parlare di tutto il filone della valutazione dei progetti di sviluppo, che si ispira alla hirschmaniana teoria della "mano che nasconde", a cui lo stesso Bobbio allude implicitamente, quando afferma che "nessuno muoverebbe mai un dito se fosse in grado di prevedere tutti gli ostacoli cui va incontro".
Questo libro presenta un percorso soggettivo di ricerca in cui può riconoscersi un'intera generazione: dalla passione per la politica, collegata al desiderio di far partecipare alla decisione i soggetti che ne erano lontani, all'attenzione verso i processi attuativi e a un modo di governare in forme negoziali e pluraliste che renda più democratico e civile questo paese.
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