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Chi dovrà fare storia del Pds, e dei Da che ne sono seguiti, dovrà giovarsi di inchieste sociologiche più che dei verbosi verbali tanto in voga presso gli antenati del Pci, e questa di Rosa Mulé occuperà un posto di rilievo. Il sondaggio di cui si dà conto è stato effettuato tra il giugno e il novembre del 2003, anche se i dati sono basati su un campione ricavato dal tesseramento 2000, "l'unico anno si precisa per il quale era disponibile un archivio centralizzato e interamente digitale". Non c'è dunque da stare allegri per ricerche cronologicamente più estese. Il quadro che risulta è tracciato con sicurezza e persuasività. Ad esempio, si mette in guardia dall'enfatizzare il tema dell'"alleggerimento" della struttura organizzativa. Con i loro seicentomila iscritti, i Ds erano in grado di far leva su una notevole massa per le mobilitazioni elettorali. Quanto alla cultura politica dei Ds, si notava fa effetto scrivere al passato il predominio di "elementi di tradizionalismo e conservatorismo". Si direbbe percepibile un effetto nostalgia: che spiega i tentennamenti della leadership. Insomma il "nuovo inizio" annunciato dopo la Bolognina (1989) con tanto ardore non ha potuto fondarsi su un vero rinnovamento di mentalità, e spesso sono stati i nuovi aderenti a chiedere con maggior forza attaccamento ai simboli e a parole d'ordine del passato. Si capisce, allora, perché abbia attecchito gradualmente il modello del "partito personale", e comunque un'elevata dose di personalizzazione della politica. La deradicalizzazione ideologica ha incentivato un giudizio favorevole alla personalizzazione, surrogando in termini mediatici e semplicistici il rapporto tra capi e cittadini. La ricerca è da apprezzare anche per la sua originalità, dal momento che in Italia ad avere il massimo grado di attenzione sono state finora le inchieste dedicate ai quadri intermedi dei partiti e non agli iscritti. Roberto Barzanti
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