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Anno edizione: 2019
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Può una società classista e sistemica come la nostra essere progettata per funzionare a condizione che la sua logica venga implementata a partire dalle strutture scolastiche che ne fanno parte? Il pensiero creativo mina la stabilità che la scuola rappresenta? Perché ci si aspetta che un figlio vada a scuola per conseguire un diploma oppure una laurea che ne attesti la preparazione accademica, invece di permettergli di apprendere ciò che egli ritiene necessario per se stesso? Queste domande sono alla base del trattato di Ivan Illic, il quale aveva già preannunciato come sarebbe evoluta la conoscenza e quali sarebbero state le conseguenze di una formazione scolastica pre impostata senza alcun nesso causale con la realtà in cui essa è presente. L'apprendimento è frutto della pratica, tuttavia si cerca di rimandare il più possibile l'ingresso nel mondo del lavoro, lasciando individui in balia di pseudo esperti della conoscenza. La domanda che non viene fatta è come rendersi indipendenti dal giudizio scolastico nella propria vita e divenire persone colte senza alcun supporto scolastico. Personalmente ritengo la scuola un'istituzione superata, in quanto il gap tra ciò che viene insegnato e ciò che di fatto è necessario sapere, sembra ormai incolmabile. A ciò va aggiunta la figura del professore, troppo autoritario e poco autorevole, forse retaggio di una cultura simil fascista che ha permeato fino ai primi anni 90, salvo poi perdere potere con l'avvento di Internet e social. Per terminare, la scuola continua a esistere come istituzione sacra senza però fornire alcuna base solida per arrivare a comprendere sé stessi e senza fornire nessun strumento per maturare. Uno spaccato avveniristico che è diventato tanto evidente quanto tragicamente reale.
Stupendo e visionario, un pilastro del pensiero illichano. La critica è attualissima sia perché è dalla (e con la) scuola che è possibile plasmare il futuro - migliore, possibilmente (“Se v’è per l’umanità una speranza di salvezza e di aiuto, questo aiuto non potrà venire che dal bambino, perché in lui si costruisce l’uomo.” cit. M. Montessori), sia perché abbraccia in realtà molti aspetti della "modernità" che vanno ben oltre la scuola: modernità disumanizzante e anestetizzante in cui l'autore aveva già perfettamente visualizzato le potenzialità e il percorso indirizzato inesorabilmente alla distruzione dell'ecosistema e dell'Uomo stesso, inteso come essere indipendente e autodeterminato. In quest'ottica la scuola, almeno quella degli ultimi 50 anni, non è altro che una fabbrica di piccoli produttori/consumatori diligenti che si impegneranno per produrre sempre di più col solo fine di consumare sempre più velocemente i prodotti stessi del loro lavoro e le risorse della terra, mentre i grandi consumatori si contendono lo sfruttamento di quanto è inestimabile: l'aria, l'acqua, gli oceani, le foreste, il sottosuolo. Di questo ha bisogno la società del consumo e così anche i programmi scolastici diventano merce da consumare, sempre più obbligatoriamente. Questo modello di "sviluppo", che incidentalmente insulta continuamente e con violenza sempre maggiore la Madre Terra, viene inculcato fin da piccoli, viene giustificato e viene spacciato come l’unico possibile, rendendo di fatto psicologicamente impossibile ai più muovere qualsiasi critica esterna al paradigma produzione/consumo/sfruttamento. Se vogliamo vedere questo libro come una profezia allora si è avverata in pieno: il mutamento antropologico è ormai in uno stadio avanzato. Uno dei testi più ricchi e profondi che io abbia mai letto.
Una profezia sulla perdita di ogni utilità dei sistemi di istruzione istituzionali, che pian piano si sta avverando. Ogni diffusione di conoscenza che sia veicolata in relazioni asimmetriche e gerarchizzate dall'adulto a svantaggio del bambino/sottoposto è destinata a deteriorarsi mettendo in luce la violenza ed il sopruso perpetrato a danno dei più deboli, ovvero la sua intima essenza.
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