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«Quando mio padre mi fece - era nel trenta - di sicuro quella notte pensava alla bandiera rossa. E nacqui io». La vita epica, ribelle, poetica di una capopopolo contadina e protofemminista nella Sicilia profonda.
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Un libro sulle donne, per le donne ma soprattutto per gli uomini. Affascinante e travolgente.
Recensioni
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recensioni di Vittori, M.V. L'Indice del 1999, n. 12
Per chi negli anni sessanta s'è svegliato ogni domenica al suono non delle campane ma dall'altoparlante che elargiva bandiere rosse e comizi, questo libro è un pane "che ha il sapore di un ricordo". E davvero il militante comunista è oggi, come scrive Maria Attanasio, "una figura desueta, come i lampioni a gas, le azzeruole, i ricami fatti a mano, in via di totale estinzione...".
Scrittrice di formazione filosofica, e raffinato linguaggio, Attanasio ha voluto ricostruire nel suo libro i lineamenti di questa figura, riportare alla luce i connotati di quel mondo in cui essa s'inscriveva. E così ecco la storia di Concetta La Ferla, che a Caltagirone fondò la prima sezione femminile del Pci. Nell'efficace definizione che ne dà Maria Attanasio - "tardo capopopolo e protofemminista" - si compendiano gli attributi costitutivi di Concetta, e balza in primo piano il suo gap storico, la singolare evenienza di esser vissuta in tempi troppo recenti per essere capopopolo e, insieme, troppo remoti per essere femminista.
La sua figura viene dunque a collocarsi in uno scomodissimo spartiacque tra il vecchio che sta per finire e il nuovo che ancora non s'annuncia, in un paese meridionale "tristemente scelbiano" e tenacemente sbarrato alle donne. Ma Concetta ha grinta e vitalità da vendere: e giustamente Attanasio dà la voce a lei, al suo parlare sapido e scorciato, al suo linguaggio alleato al dialetto, ai suoi epiteti incisivi che scolpiscono le situazioni e le persone. La particolarità della narrazione consiste proprio in questa sua duplice articolazione retrò: sul piano contenutistico, una documentata ricostruzione del militante comunista d'una volta, con la sua fede ben salda e la sua forte esigenza di inglobare la dimensione privata in quella pubblica; sul piano espressivo, la ricostruzione di un linguaggio antico e nobilmente popolare, come il parlare dei cantastorie. Cosicché, dopo un'introduzione di sottile introspezione, che stringe in un unico nodo di disagio delusioni personali e disaffezioni di tipo collettivo, Attanasio cede la parola a Concetta. E come suona diversa, questa parola: non ha moderne raffinatezze né vertigini, quanto piuttosto una vitalità antica, cocciuta, fortissima. Racconta l'educazione anticonvenzionale datale dal padre, che la porta a caccia con sé e le insegna a sparare, il primo comizio a quindici anni, nel '45, la prima e grandiosa festa del Primo Maggio, il primo - e unico - amore.
Concetta è convinta, caparbiamente, contro l'opportunismo dei dirigenti di partito - che lei chiama "Manichini da salotto" - e le istanze separatistiche del femminismo, che si deve fare una politica di classe tutti insieme - uomini e donne - altrimenti non si è più comunisti. Si è "culichiatti", epiteto che, nel suo espressivo linguaggio equivale e un anaterna.
Ma, all'inizio degli anni settanta, non erano più i tempi. E ce lo aspettiamo certo, l'epilogo: la sezione femminile sciolta, un partito che nelle sue elaborate alchimie ha smarrito definitivamente alcuni tratti della sua fisionomia, e una politica che non è più dimensione di vita degli individui.Ma ci aspettiamo anche la "tenuta" di Concetta: anziana, affaticata, con un marito malato, ancora va in sezione, cerca di risolvere i piccoli grandi problemi delle "persone sofferte". E si ricorda della giovane compagna di un tempo, Maria, e le chiede ascolto. Vuole raccontare la sua storia. Vuole che rimanga qualcosa, di quel tempo e di quelle idee; vuole che gli altri sentano e sappiano. E alla fine ci riesce.
«Quando mio padre mi fece - era nel trenta - di sicuro quella notte pensava alla bandiera rossa. E nacqui io». Poetico tumultuoso e corale, il racconto della interminabile (e interminata) lotta per la costituzione della sezione femminile del Pci di Caltagirone, procede come una rappresentazione popolare, sebbene parli di eventi veri. Concetta La Ferla - tardocapopopolo e protofemminista che per trent'anni fu la protagonista assoluta della lotta di classe e di liberazione delle sue donne - li inscena con una voce antica di cantastorie, capace di restituire a quegli eventi tutta la forza mitologica e allegorica che ebbero per chi li visse. Lotta contro il bisogno, desiderio di libertà, sete di giustizia: ma anche sogno di felicità. Il sogno della rivoluzione.
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