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Una pietas per i destini: un romanzo di Carmen Gasparotto Recensioni Scritto da Antonio Errico Giovedì 02 Gennaio 2014 16:50 Ricomporre l'infranto. Restituire forma ai frammenti. Ritessere le storie. Sottrarle all'oblio. Conformare i destini, o assecondarli, o assoggettarsi ad essi, accettandoli, come inevitabili, come irreversibili. Oppure fingere di opporsi, illudersi di poterli governare, riconducendo ogni cosa nell'intreccio di una scrittura. Ad un tempo lucida e opaca, ordinata e confusa, che a volte tenta la fuga, che poi ritorna e si acquieta. Di forte istinto: perché non c'è ragione che sia in grado di arginare l'impeto, la passione - il pathos- del senso intimo, interiore, magmatico, profondo, abissale. Di forte istinto , è un libro - no: è un'opera- che contempla il bene e il male, che a volte li distingue e li separa, che a volte - il più delle volte- li confonde, in quanto bene e male sono spesso convenzione che non risponde al senso dell'essenziale. Non ci sono personaggi nell'opera di Carmen Gasparotto: ci sono creature. Non ci sono nemmeno luoghi: ci sono rifugi della memoria. Non ci sono ricordi ma sopravvenienti, inaspettate, continue emozioni. Non c'è passato, perché tutto il passato si riconforma in una condizione di presente, e l'io che scrive scoperchia le botole e consente al tempo di rigenerarsi e alle creature di presentarsi - di farsi presenti- ad un'altra creatura che ne raccoglie le storie, le voci, i silenzi, le felicità, le disperazioni, e le racconta. Spesso con una pietas dolcemente dolorosa.
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