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Non credo che sia scorretto chiamare Bettina casalinga, perchè in effetti se una donna non lavora e sta a casa anche solo ad occuparsi dei figli, non la chiamiamo forse così? Per quanto riguarda il "mad", mi pare che nelle prime edizioni il titolo fosse Diario Di Una Casalinga Inquieta (come il film che poi ne hanno fatto) poi furbescamente ritradotto Disperata in relazione alla serie tv. Ho trovato un po' difficile ingranare ma poi mi sono immersa del tutto nei pensieri della donna.Molto importante è soprattutto il contesto storico temporale in cui il romanzo è uscito e la perfezione con cui la Kaufman ha saputo descrivere la vita della donna che segue il marito nei suburbs. Interessante, fa riflettere ed è a mio parere ottimo! (Concordo con i più per i refusi, imperdonabili)
Il libro si legge piacevolmente, ha qualche pagina divertente, ma nulla di più; il titolo poi è fuorviante in una maniera sconcertante: chi definirebbe Bettina una "casalinga"? E' una signora dell'alta borghesia che abita su Central Park. Della casa si occupa la servitù. Lei non ha nulla da fare e non ha nessun problema, perciò si annoia... difficile provare vera simpatia per lei, identificarsi. Una persona che non conosce se stessa, che non sa nè godersi i propri privilegi, nè cercare alternative o libertà più legittime di un banale tradimento coniugale. Mah.
non mi ha del tutto convinta: mi è sembrato che a tratti si dilunghi in maniera un pochino ripetitiva sulle descrizioni degli stati d'animo di bettina. peccato anche per i refusi.
Recensioni
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Bestseller internazionale uscito la prima volta quarant'anni fa, Diario di una casalinga disperata è stato un vero e proprio fenomeno di costume e non ha mai cessato di essere un libro attuale e di successo. Il libro denuncia l'infelice realtà di molte casalinghe del tempo, diversa dalle fotografie dei rotocalchi che mostravano brillanti donne di casa che cucinavano per il marito e lucidavano il pavimento col sorriso stampato in faccia. Una di queste è Bettina Balser, voce narrante e protagonista del libro, che, incapace di riconoscersi nel modello della perfetta donna di casa americana che sforna biscotti per la sua nidiata di figli, mentre lucida il pavimento di casa e prepara il cestino del pranzo per il marito, si rifugia nell'alcol, negli antidepressivi e in qualche avventura extraconiugale per sfuggire alla depressione. Eppure Bettina non è una sprovveduta. Ha studiato letteratura al college e la sera legge I Buddenbrook e Flaubert, per un periodo della sua vita ha anche dipinto e frequentato la bohème artistica del Village, ha avuto le sue storie. Poi, dopo essere stata in cura da uno psicanalista freudiano per undici anni, si è fatta convincere a indirizzarsi verso la "piena realizzazione del suo destino di femmina": un cambio di direzione dai lidi dell'arte e della letteratura alla vita di moglie-madre. Per un po' le cose sono anche andate bene: Tina si è sposata con un bell'avvocato, ha un tenore di vita agiato, una bella casa nell'Upper West Side, due bambine, un cane e la cameriera. Ma a un certo punto non ce la fa più e comincia a scrivere: forse mettere nero su bianco il racconto sincero della sua vita e di tutte le sue angosce potrà liberarla in qualche modo.
Nasce così la "mad housewife", la casalinga pazza, arrabbiata, disperata, fenomeno di costume, simbolo del malessere di un'intera generazione di donne alla ricerca della propria identità. La sindrome paranoico-schizoide di Tina è anche quella della società americana degli anni '60, fatta di conflitti razziali, delle guerre di Corea e del Vietnam, della minaccia di un attacco nucleare. Ma Tina tutto questo non lo sa: pensa di essere l'unica donna alle prese con ansia e infelicità. E invece è proprio in quegli anni che iniziano a scrivere Doris Lessing, Sylvia Plath, Anne Sexton: autrici che hanno parlato a generazioni di donne per l'urgenza del racconto, per la sincerità violenta, quasi sfrontata, con cui viene narrata la cronaca, spesso dichiaratamente autobiografica, di donne in preda a disturbi psicofisici, sull'orlo della disperazione e dell'autodistruzione nel tentativo di adeguarsi al ruolo imposto dalla società di "angelo del focolare" - come diceva Virginia Woolf.
Nonostante gli anni trascorsi, il romanzo di Kaufman risulta ancora oggi incredibilmente feroce, profondo e moderno. Anche se dai tempi della protagonista le cose sono indubbiamente cambiate, se le donne oggi hanno un ruolo nella società che allora non si sarebbero neanche potute sognare, dentro di noi si annidano ancora i fantasmi di ruoli imposti dall'esterno. E queste eroine di carta nate quarant'anni fa ancora ci parlano come una specie di doppio: arrabbiate, disperate, pazze. Proprio come siamo anche noi, talvolta.
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