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Anno edizione: 2017
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Si dice che quando una persona muore, presto o tardi verrà dimenticata. Io invece penso che, finché verrà ricordata, continuerà a vivere, a respirare nel nostro cuore, nella nostra anima. E questo non vale solamente per i nostri cari, ma anche per gli scrittori, per tutte quelle persone per noi molto speciali che, in un modo o nell’altro, si sono fatte spazio dentro ogni cellula di ciò che siamo. Nellie Bly continuerà a vivere e a respirare nel mio cuore, nella mia anima, finché vivrò. Come direbbe 🌟 Jane Austen 🌟, dal più profondo del mio cuore di donna, voglio ricordare e ringraziare e lodare Nelly Bly per l’incredibile forza e coraggio che ha dimostrato per essere riuscita a fingere di essere pazza e farsi internare per dieci, lunghissimi giorni, nel 1887, nel manicomio Bellevue dello Stato di New York e portare alla luce non solo questo libro-reportage, ma anche, forse, l’ennesima prova a conferma del fatto di quanto noi esseri umani siamo capaci di diventare. Non ci sono parole, IO non ho parole per esprimere la tristezza e la rabbia che ho provato nell’affrontare una delle letture più agghiaccianti che abbia mai affrontato. Tutta questa violenza nei confronti di donne non veramente pazze (ma anche se lo erano davvero) io proprio non la capisco, né la accetto. C’è da chiedersi dove sia finito l’animo umano, sensibile ed empatico dell’essere umano in sé. C’è da chiedersi: ma siamo ancora degli esseri umani? Io sono sconvolta. Questa lettura fa riflettere tantissimo, ma ne esci inevitabilmente sconvolta. Soprattutto se pensiamo che ancora oggi tutta questa violenza va a sbattere contro l’innocenza e l’incredulità di bambini negli asili e di anziani malati ricoverati nelle case di cura.
Nel 1887 la giornalista investigativa Nellie Bly, fingendosi una rifugiata straniera, senza lavoro e famiglia, afflitta da paranoia, si fece rinchiudere per dieci giorni nel manicomio dell’isola di Blackwell, allo scopo di scoprire le reali condizioni di vita delle donne ricoverate. Il reportage che ne viene fuori è a dir poco scioccante e di un’attualità sconvolgente. Una donna coraggiosa, Nellie Bly, talmente coraggiosa da fingersi una malata di mente, sperimentando su se stessa tutto ciò che quelle povere sventurate donne dovevano subire ogni giorno: vergognosi maltrattamenti fisici e psicologici e derisione da parte del personale infermieristico, indifferenza e incompetenza da parte dei medici (su 17 dottori solo 2 si curavano realmente dello stato di salute quotidiano delle proprie pazienti), cibo scadente e disgustoso, condizioni igieniche pressoché inesistenti e vestiario insufficiente per affrontare la stagione invernale. Un vero incubo. In un luogo del genere, o muori di pazzia o muori di polmonite, e forse la morte era davvero vista come l’unica via di fuga da quel manicomio. Era facile entrare presso l’istituto psichiatrico dell’isola di Blackwell, ma era impossibile andarsene. Come appurò personalmente Nellie, la maggior parte delle pazienti ricoverate erano perfettamente sane dal punto di vista mentale, capaci sia di intendere che di volere. Ma perché allora erano finite in quel posto orrendo? Alcune perché erano semplicemente bizzarre, altre perché erano emigrate o povere, altre ancora perché erano semplicemente donne sole. Un libro forte, che fa riflettere profondamente Vi ho riscontrato, purtroppo, numerose analogie con l’attuale sanità (o meglio malasanità) pubblica. Ora non esistono più i manicomi, ma basta entrare per qualche ora in un ospedale pubblico per rendersi conto della disorganizzazione della struttura, ma soprattutto dell’incompetenza e della disumanità della maggior parte di medici e infermieri, profumatamente remunerati.
La giornalista Nellie Bly fu incaricata di scrivere un articolo su un istituto femminile americano, nel quale venivano internate le "alienate", o comunque le donne ritenute tali. Nelly accettò di portare a termine il proprio compito, ma, per svolgerlo bene, dovette capire come l'Istituto fosse gestito. Fu costretta, quindi, a fingere una malattia mentale per infiltrarsi e "toccare con mano" il trattamento riservato a queste deboli e sfortunate creature. Nonostante qualche dubbio su come ingannare i medici, la giornalista riuscì facilmente a farsi internare: nessun medico era veramente interessato allo stato psichico delle malcapitate, nessuna infermiera mostrava un minimo di umanità! "Dieci giorni in manicomio" è il risultato di una permanenza all'inferno. Un libro intenso, che colpisce e inorridisce, ma che fornisce un quadro oggettivo e veritiero delle condizioni estreme a cui molte donne furono obbligate all'interno di un edificio squallido, freddo e ostile come una prigione.
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