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Genitori e insegnanti come immigrati digitali, bambini come nativi digitali. È questa la metafora utilizzata dagli autori di Digital kids. Cui segue da corollario la convinzione che per i bambini da 0 a 6 anni il computer sia una lingua-madre, mentre è una lingua da apprendere per genitori e insegnanti, come spiega nella prefazione Angelo Failla, direttore della Fondazione Ibm Italia.
Frutto di una collaborazione triennale tra la facoltà di Scienza della formazione dell'Università di Milano-Bicocca e la Fondazione Ibm Italia, che aveva già prodotto il Bambini e computer nel 2006, il volume raccoglie i contributi, oltre che dei curatori, professori all'Università Milano-Bicocca, di Valentina Garzia, insegnante di scuola primaria, e Donata Ripamonti, psicopedagogista e formatrice di insegnanti.
Il libro prende le mosse dalla constatazione che per la prima volta si ha a disposizione una cospicua mole di dati osservativi sull'utilizzo del computer da parte dei bambini della fascia d'età da 0 a 6 anni, ma la ricerca ha come oggetto anche le fasce d'età successive, in particolare la fascia d'età della scuola dell'obbligo. Occorre, sostiene Susanna Mantovani nell'introduzione, liberarsi di una visione valoriale e giudicante sulle nuove tecnologie: "Se gli oggetti tecnologici e il loro uso fanno bene o facciano male (
): sono domande comprensibili ma del tutto inutili". I nativi digitali si trovano immersi in un mondo costituito da una rete di relazioni materiali e virtuali, che costituisce il loro habitat naturale, ovvero la nuova struttura del mondo. Occorre quindi abbandonare il modello dell'adulto in quanto monopolista del sapere e dell'insegnante come "signore dell'aula", in favore di un approccio contaminatorio bilaterale, nel quale apprendistato e trasmissione della conoscenza istituiscano una reciprocità feconda. Ancora una volta ci soccorre la metafore della "migrazione digitale". Come gli immigrati di seconda generazione possono costituire il veicolo di integrazione dei genitori, così i "nativi digitali" sono d'ausilio a genitori e insegnanti nella costruzione di un sapere condiviso e nella costruzione del ponte tra i saperi del "vecchio" e del "nuovo" mondo.
La condivisione di questi saperi mira a superare anche la rottura generazionale tra i "figli di Gutenberg" e i "digital kids", individuata a partire da una ricerca dell'Ocse dedicata ai "New Millennium Learners" (Nlm). Nel primo contributo di Paolo Ferri (Come costruiscono il mondo e il sapere i nativi digitali) si parte dalla definizione di Nlm per esporre i risultati dell'indagine Pisa 2006 sull'importanza dell'accesso alle nuove tecnologie. L'indagine conferma la rilevanza del digital divide per il successo scolastico, con alcune precisazioni: conta poter disporre delle tecnologie in ambito domestico, mentre meno rimarchevole risulta l'utilizzo della tecnologia a scuola, spesso relegata a "laboratorio di informatica". Il superamento della crisi nella quale versa la scuola è dunque nella dissoluzione della contraddizione tra "scuola gutenberghiana" e "scuola digitale". Lo stesso Ferri, nel suo secondo contributo (Gli immigranti digitali e le tecnologie), esamina le resistenze degli insegnanti alle Ict, dovute da un lato al senso di inadeguatezza di fronte alle nuove tecnologie, dall'altro dalla crisi della figura docente in quanto "demiurgo dell'aula". Nell'aula, infatti, i "nativi digitali" trasferiscono modelli e comportamenti cooperativi appresi nella costruzione della loro rete referenziale e, dunque, difficilmente si adattano alla configurazione alfabetica e trasmissiva del setting didattico, individuata da McLuhan.
È quindi particolarmente rilevante la formazione degli insegnanti, alla quale è dedicato uno dei contributi di Donata Ripamonti (Quale formazione per gli insegnanti immigranti digitali), per il superamento del gap tra la costruzione dei saperi della scuola e dei saperi che nella scuola vengono inoculati suo malgrado; Ripamonti espone la sua esperienza di formatrice sul campo e i risultati di tre corsi di formazione finanziati dalla Fondazione Ibm nel 2005. Gli altri contributi indagano i rapporti tra genitori e Ict (Paolo Ferri) e tra i bambini e il computer, mediante un'indagine sul campo, di Valentina Garzia e Donata Ripamonti.
Siamo di fronte a tentativo complesso e rilevante di risolvere il nodo del rapporto tra Ict e sapere scolastico. Tuttavia, la riflessione sottesa ai vari contributi presenta alcuni limiti, dovuti probabilmente al tentativo di adeguamento dell'argomentazione alla committenza della ricerca. Se è vero che la soggettività del bambino subisce una trasformazione nell'impatto con la tecnologia digitale, non si precisa il carattere di questa trasformazione e, soprattutto, la sua desiderabilità. In particolare, l'impatto con le nuove tecnologie trasforma la concezione del tempo e dello spazio nei nativi digitali: se digitale è un nuovo linguaggio, ogni linguaggio serve all'organizzazione del pensiero. È desiderabile la sostituzione di esperienze prevalentemente digitali e visuali alle esperienze prevalentemente alfabetiche e "gutenberghiane"? O la sostituzione di una concezione lineare del tempo e dello spazio con una concezione che elimina le distanze spazio-temporali? In altri termini, provocatori, gli stessi usati nel volume, è desiderabile la sostituzione dell'homo sapiens con l'homo zappiens? Laddove per rilevante si intende funzionale alla creazione di "contesti di senso che espandano le possibilità dei campi di esperienza".
Altro limite del volume consiste nell'assumere come un dato di fatto l'accesso alle fonti on line finalizzate alla ricerca scolastica. Se è vero che Wikipedia sta competendo con la "classica" Enciclopedia Britannica (ma Paolo Ferri non ci dice in cosa consista questa competizione, forse in numero di accessi), è anche vero che si tratta di un'"enciclopedia" poco affidabile sul piano del rigore scientifico. L'autopoiesi della rete non fonda necessariamente una democrazia dei saperi competenti.
Queste sono solo alcune delle pecche di un volume per altri versi ben documentato e argomentato. Si tratta tuttavia di limiti che a tratti danno l'impressione di trovarci di fronte a un entusiasmo eccessivo nei confronti delle nuove tecnologie cui si dovrebbe un necessario riscatto.
A. Candreva
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