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Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
Si tratta di un libro raro. Raro perché è un condensato di passione, indocilità e insoddisfazione in un piatto mainstream di cinismo, disimpegno, spensieratezza. E perché quindi, come tale, ha il coraggio di esporsi, di assumersi il rischio che la critica appassionata porta con sé: l'isolamento, quando non addirittura il "naufragio", con annessa derisione concertata degli "spettatori". Ma è raro soprattutto perché è uno di quei pochi libri che non abbandoni più, che porteresti ovunque, di cui sai che avrai bisogno, perché ogni volta ti ricorda le coordinate, perché sai che non smette di comunicare, perché sai che è vivo.
bellissimo!!! era un libro che aspettavo, senza saperlo. i pensieri che un sacco di gente che vorrebbe un mondo migliore ha in testa, magari senza saperlo, soprattutto noi giovani italiani. lo consiglio assolutamente!!!
Recensioni
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Recensione di Luciana Castellina
Questo libro è faticosissimo perché è così denso di considerazioni, anzi, di svelamenti sulla sostanza delle nostre ovvietà quotidiane, che ?occorre fermarsi a ogni ?paragrafo per interrogarsi e riflettere, ogni frase è da rileggere per capire. Anche per via di un linguaggio immaginifico e innovativo che riduce il tempo? materiale della lettura, perché tutto racchiude in pochissime parole, però, poi, per carpirne davvero il senso, ci vuole un po’. L’idea di partenza è pensare al capitalismo come a una fortezza in cui sei recluso, e che, come tutte le prigioni, produce anche cultura che ti contamina con la sua ideologia. Perché il capitalismo è diventato “integrale”. Sicché detenuto e carceriere si incorporano a vicenda, (…). Il sistema è infatti capace di reinventarsi in continuazione, e di farlo con l’aiuto delle stesse sue vittime.
Il titolo è (…) un invito a cominciare a dire di no, è un richiamo alla necessità di non considerare più naturale il modo in cui viviamo che spegne ogni velleità critica. Tornare a sollecitare un lucido ed esplicito rifiuto del capitalismo è il primo passo necessario, e per questo occorre dire no ad alta voce. Ripeterlo è un obbligo, troppo spesso disatteso per rassegnazione. O asservimento. Stando attenti, aggiunge l’autore, a non pensarsi come il pastore che indica al gregge smarrito la via. È l’errore compiuto da tutte le avanguardie rivoluzionarie (…). Perché chi sta dentro la caverna oscura del capitalismo non riesce nemmeno a immaginare il di fuori. E se pure qualcuno riesce a scappare, poi non saprebbe raccontarlo ai compagni lasciati nel buio, che non gli crederebbero. Per questo non può esserci un liberatore, che parla dall’alto e dal di fuori. (…) E però cosa fare oggi per ridare protagonismo alle vittime, se ogni gesto critico risulta alla fine penetrato a sua volta dall’ideologia che vorrebbe scalzare? Come reinventare la speranza sociale? (…). Bisognerebbe combattere l’indifferenza e l’individualismo che impediscono a chiunque di liberarsi davvero.
Serve dunque una dimensione collettiva. (…). Creare “luoghi comuni di umanità”, indica Donaggio come strategia di “defatalizzazione”. Penso voglia dire due cose importanti: che ci vuole più coraggio nel riproporre una denuncia radicale non solo del sistema in quanto tale; e che la presa di coscienza della sua cattiveria passa oggi per esperienze diverse da quelle del passato ed è su queste che occorre far leva per resuscitare antagonismo. Costruire zone liberate, e cioè forme consolidate di democrazia organizzata, entro cui sia possibile sperimentare già oggi modi diversi di produrre, consumare, e dunque vivere e così ridar sangue alla esangue democrazia in cui viviamo, un sistema da cui la politica è stata pericolosamente espulsa. (…)
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