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Non puoi, in qualche modo, non avercela con tuo padre se sei cattolico ed egli ha avuto il frizzo di importi un nome malefico come quello di 'Caino'. Caino Marchenoir, appunto, - mistico, apocalittico e misantropo (un po' alla Schopenhauer, per dire) - è furioso; si scaglia contro tutto e tutti, e le sue invettive sono feroci. Un provocatore alla Dostoevskij, ma di gran lunga più incendiario. Aspro e tagliente, è intossicato e avvelenato dalla vita e dalle contingenze infauste; si scatena contro la mediocrità borghese della società a lui contemporanea e contro la Chiesa stessa, ma il suo cristianesimo esistenzialista - come a Kierkegaard - gli dà, attraverso la sofferenza, la speranza di una redenzione finale. Insomma, Il disperato, romanzo fortemente autobiografico, è questa roba qui, per niente semplice. La sua complessità di lingua e di contenuti storici, teologici, spirituali e filosofici (con annessi e connessi), impegnano fortemente nella lettura, però la scrittura incanta: è colta, elegante, potente e articolata, dal vocabolario aspro e deciso. Non lascia scampo. Nel senso che, volente o nolente, 'obbliga' ad uno sforzo intellettuale e ad ampliare la percezione che si è avuta fin qui della Letteratura, spingendola verso le più grandi altezze. Non è un caso che ispirò Céline e Borges e perciò, mi sento di consigliarlo solo a lettori arditi e rodati. "Marchenoir aveva la nomea di escatologo. Il pettegolume ipocrita dei contemporanei di Ernest Renan lo aveva severamente biasimato per la forza stercoraria dei suoi anatemi. Ma, a capirlo, bisognava schierarsi con lui. Egli vedeva il mondo moderno, con tutte le sue istituzioni e le sue idee, in un oceano di fango. Era per lui un’Atlantide sommersa in una concimaia. Gli era impossibile concepire il mondo diversamente." Spettacolare il lavoro del traduttore Gennaro Auletta.
E' un'opera con alti e bassi. A suo demerito si ha l'antigiudaismo (ma non l'antisemitismo, come è scritto nelle note), l'esasperata critica dei letterati dell'epoca, troppo personalista e circostanziata e dalla quale trapela invida per i loro successi. Al netto del basso, abbiamo a che fare un romanzo davvero critico nei confronti della modernità, dell'edulcorazione che la chiesa ha fatto del messaggio di Cristo, diventata una meretrice che cerca compromessi al ribasso con i potenti e la Repubblica, ingannando i poveri fedeli, alla mercé delle mode e delle ruberie sulla loro testa. Neanche Francesco di Sales è risparmiato. Si salva la chiesa della patristica, per certi versi Tommaso d'Aquino, ma dal Rinascimento tutto è un rotolare verso il Marciume. Stupende le pagine sui certosini, gli unici che sanno lodare come gli angeli, per non parlare del rapporto disperato tra il Protagonista, l'amico Levardier e Véronique, una prostituta che viene evangelizzata dal protagonista e nella sua formazione cristiana è disposta a tutto nella sofferenza e nella povertà per essere accetta al Signore. Perché Dio ha scelto i poveri? perché i poveri terrorizzano chi non è caldo e né freddo, perché i poveri sono la rappresentazione miracolosa della Carità. Cristo è ancora inchiodato sulla croce e bisogna soffrire con lui perché ritorni a salvare il piccolo resto. Ottimo poi il confronto con i nichilisti, che se sono terroristi per lo meno non sopportano più questo mondo borghese, che continua ad eleggersi nei valori dell'uguaglianza, fraternità e libertà ma in una maniera utilitarista, facendo a meno della misericordia, della giustizia e della libertà, la quale significa donare tutto di sé in Cristo nel Grande Rifiuto di questo bordello della modernità, che si fa adulare come unico Dio, perché in sfaccettate figure non è altro che l'Anticristo. Nessuna teologia della Gloria dunque, ma teologia della sofferenza con Cristo, anticipando, in questo, il messaggio del grande Quinzio.
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