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Anno edizione: 1994
Anno edizione: 2016
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Una sorta di bigino della storia dei Pink Floyd: tutto ben fatto e ben suonato ma con un'aria di già sentito: non ci sono rischi ma di certo qualche buon brano. Anche le scelte di produzione del tempo, iper levigate ed un pò ridondanti, contribuiscono a far suonare i brani un pò troppo laccati. In definitiva un buon album ma che non raggiunge certo le vette dei capolavori degli anni '70.
I Pink floyd, quelli che avevamo amato fino a The Wall ed ai riverberi Watersiani di The Final Cut sono scomparsi per sempre. Partito Waters sono rimasti impigliati nel lato oscuro del loro riflesso. Incapaci, a mio giudizio, di rinnovarsi e rinnovare il proprio repertorio come avevano fatto nel corso del tempo, dimostrando un eclettismo musicale fuori dal comune, sfornano a ben sette anni di distanza dal precedente brutto e insensibile "A momentary lapse of reason" un altro album ancor più anacronistico nel senso peggiore del termine e inutile dal punto di vista della storia di questo gruppo che ha cessato di esistere musicalmente già da dieci anni. La voce di Gilmour si avvita su sè stessa, quei cori molto anni '90 stonano decisamente con le melodie che sembrano uscire dalla fine degli anni '70 con qualche ritocco new style. Sono sconcertato.
Secondo album dell'era post Waters, si apprezza ancora la vena creativa di Gilmour, ormai leader assoluto della band. La sua chitarra e la sua voce sono il cuore di pezzi come: Coming back to life, What do you want from me, Keep talking e High hopes. La consacrazione
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