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la storia di un grande dolore, alleviato unicamente da creature non umane, ossia i cani. il protagonista finisce così per dissociarsi da quell’umanità che continua a respingerlo e nel quale non trova alcun conforto. l'ho trovato profondo e commovente, sicuramente da vedere
Dogman è una storia di dolore. L’uomo cane si attesta come metafora di alienazione e dissociazione dall’umanità. In the name of god, la scritta che il fratello innalzerà davanti al recinto-prigione di Doug, altro non è che dogman letto al contrario. La rivelazione, il messaggio consolatore che il suo Dio vuole infondergli per farlo sopravvivere. E’ nei cani che deve cercare conforto e nei cani che deve trovare la sua famiglia. Tornato alla libertà, consegnato ai servizi sociali, escluso e abbandonato, invisibile agli occhi del mondo, il film ci mostra l’ascesa e la discesa di un eroe. Il salvatore di se stesso, la resilienza, la bontà d’animo che non può essere sporcata. La sua è una vita difficile, che reca i segni di violenze trascorse e mai cancellate, i segni tangibili sul corpo a ricordare con prepotenza il tempio del dolore. Doug è un sopravvissuto, mutilato nella sua umanità. La fede, l’unico appiglio a cui si aggrappa con tutte le forze rimaste. Tra parrucche e rossetti rosso sangue, la sua rabbia diviene feroce e punitrice. In un vortice autodistruttivo, l’eroe si trasformerà nell’antieroe di se stesso, in una discesa vertiginosa da cui solo il potente potrà salvarlo. Luc Besson costruisce un thriller classico, e si serve della tecnica del flashback per consegnare allo spettatore il negativo di una fotografia ormai sbiadita. Caleb Landry Jones da vita ad una performance straordinaria, conferendo al suo Doug una profondità tangibile e credibile, senza sbavature e senza becero buonismo. Notevole la colonna sonora, che si serve degli indimenticabili brani di Edith Piaf per sottolineare con eleganza le sfumature della bellezza dell'uomo sepolto sotto le sue stesse macerie.
E molto interressantr lo condiglio vivamente
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