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Bollorino e Di Petta hanno rinvenuto negli archivi fatiscenti dell'ex ospedale psichiatrico di Cogoleto il loro caso Schreber: diversamente dal magnifico testo del giudice della corte d'appello di Dresda, che poté pubblicare il resoconto della sua malattia sul quale esercitò il suo improbabile tentativo ermeneutico Sigmund Freud e, dopo di lui, generazioni di psicoanalisti, l'autodescrizione di Girolamo Rizzo della sua straordinaria esperienza di malattia è rimasta, fino ad oggi, inedita. Gli autori parlano di doppia morte, in quanto in manicomio il maestro elementare Rizzo fu mandato perchèé uccise un prete e, nel manicomio, fu lui stesso ucciso da un altro ricoverato, ma avrebbero potuto parlare anche di tripla morte, perchè non c'è morte peggiore di chi ha tentato una comunicazione senza avere un ricevente. Bollorino e Di Petta si accollano le colpe degli psichiatri dell'epoca e in qualche modo cercano di rimediare ridando voce al testo dell'internato. Dal titolo è chiaro l'intento dei curatori di riportare un caso psichiatrico e giudiziario su un asse narrativo: ma l'operazione è qui più complessa, sfuma nella psicobiografia fenomenologico-analitica attraverso l'apparato di note che traduce pagina per pagina le parole del paziente nel linguaggio della psicopatologia e lo espande attraverso un basso continuo associativo. La psicopatologia del paziente è ovvia ed anche abbastanza banale, un caso di schizofrenia paranoide secondo i criteri di allora come di ora; benignamente gli autori parlano di sviluppo sensitivo kretshmeriano, valorizzandone la partenza da un' irruzione del contatto col femminile da cui Rizzo si sarebbe difeso, ma in realtà poi il delirio allucinatorio fa il suo corso determinato dagli avvenimenti contingenti che lo alimentano, diviene sempre più astratto: "i signori e i preti" vengono genericamente designati come autori della persecuzione allucinatoria e infatti è solo l'omicidio di un anonimo prete a portare al riconoscimento del delirio.
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