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Oggigiorno è una rarità leggere libri con una forte e ben documentata base storica, accompagnata e ampliata dalla fantasia dell’autore, che stupiscano e incantino come Dove aspetta la tempesta, l’ultimo lavoro della scrittrice napoletana Carla Marcone.
Ed è l’autrice stessa nella nota finale a citare Ugo Foscolo per dare corpo e ragione alla sua fatica:
Il segreto in qualunque lavoro dell’arti d’immaginazione, sta tutto nell’incorporare e identificare la realtà e la finzione in guisa che l’una non predomini sovra l’altra, e che non possano dividersi, né analizzarsi né facilmente distinguersi l’una dall’altra.
Compito assolto con chiaro successo dalla Marcone che narra le storie dei pirati William Kidd, Calico Jack, Anne Bonny e Mary Read usando come fil rouge il personaggio di Hey, ancora più vero e straordinario degli altri.
Ma la bellezza di questo libro non risiede solo nella trama, così complessa, intricata e piena di colpi di scena da impedire al lettore di distrarsi. Una storia, certo, può essere avvincente, eppure quello che la rende unica e speciale è il modo in cui viene composta e la scrittura della Marcone meriterebbe un capitolo a sé. Una prosa ricca e avvolgente, mai banale, mai ripetitiva, dove ogni parola, ogni verbo e aggettivo utilizzati hanno la loro ragion d’essere e, come abiti tagliati e cuciti su misura, vestono personaggi, panorami, eventi di quei colori e sentimenti che ci permettono di chiudere gli occhi e vederli davvero. Luoghi e persone, come accade per ogni libro scritto con talento, passione e originalità, restano a lungo con il lettore perché sono riusciti a scendere nella sua anima e a lasciarvi un’impronta indelebile.
Siamo alla fine del seicento, in Inghilterra, nella città portuale di Plymouth pronti a seguire le vicende del piccolo Hey, di sua madre Mary, del nero Hasim, di Lord e Lady Harlinton e della figlia Lauren, di tavernieri e presta soldi crudeli, di pirati e corsari, incamminandoci su una strada che per quasi trent’anni ci trascinerà in un vortice di accadimenti al contempo feroci, teneri e singolari.
L’autrice è bravissima a dare un corpo e un’anima ai suoi personaggi, a volte usando toni disperati, altre volte mostrando con umorismo la vanità, la crudeltà, la vanagloria e la stupidità di uomini e donne che affollano le pagine del racconto. E sebbene il libro sia ben situato in un’epoca lontana e abbia tutte le caratteristiche del vero romanzo d’avventura, pregi e difetti dei personaggi risultano essere universali e mai scomparsi, neppure ai nostri giorni, come il razzismo, il disprezzo per le donne e il loro essere considerate creature inferiori e prive di cervello.
Come si diceva prima, fil rouge e protagonista del romanzo è il giovane Hey che trascorrerà l’esistenza alla ricerca di un se stesso smarrito nel disamore della madre e nella morte in fasce del fratello gemello. Alla sua storia s’intreccia quella della madre Mary, per l’appunto; di William Kidd, il pirata predicatore, che lo amerà come un figlio; del nero Hasim e della sua bellissima madre quindicenne Dabaku, una principessa africana rapita da Lord Harlinton, mercante di schiavi:
…strappata dai demoni bianchi all’infinito stellato del cielo africano, alla veloce gazzella, al ruggito sovrano del leone, all’ombra maestosa del Baobab, al villaggio d’argilla e di paglia, alla vita a lei destinata dal Grande Spirito degli antenati, per incatenarla e stiparla nella pancia di una nave peggio di una bestia fra centinaia di altre bestie incatenate e stipate, senza quasi cibo né acqua, e farle attraversare l’oceano in un mare di merda e di vomito.
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