«La storia di Emanuel Carnevali sembra uscita da un dramma di Tennessee Williams o da un film di Gus Van Sant. Non solo per il tragico epilogo, ma perché, a volerla ridurre alle sue linee essenziali, rappresenta un inno alla giovinezza e alla ribellione. Fuggito a New York a sedici anni da un padre reazionario e violento, genio precoce quanto sregolato, dotato di una scrittura potente e lucidissima, autodidatta (impara l’inglese decifrando le insegne pubblicitarie), Carnevali trascorre la sua breve esistenza perennemente appeso a un filo. Amico e guida di quella nuova generazione di poeti che, agli inizi del Novecento, sta tentando di rinnovare la letteratura americana, animatore della scena culturale, Carnevali non è mai riuscito a scrollarsi di dosso i patimenti di una vita precaria, da hobo. Scrive quando non è impegnato a tagliare i rami del Lincoln Park, quando non è costretto a sgobbare nei retrocucina dei ristoranti o negli ascensori degli hotel, quando l’encefalite letargica (malattia che lo colpisce a soli ventiquattro anni e che lo porterà alla morte) gli permette di farlo. Ma se altri hanno riscattato almeno dopo la scomparsa l’indifferenza patita da vivi, a Carnevali per molto tempo non è stato concesso nemmeno questo. Oggi I racconti di un uomo che ha fretta, ventisette anni dopo l’uscita de Il primo dio, vanno finalmente a colmare tale grave lacuna. Il libro rispecchia in pieno la tumultuosa e disordinata biografia del giovane autore troppo impegnato dall’esistenza, troppo attratto dalla vita, troppo vicino alla morte per potersi permettere del metodo. È sempre stato un uomo che andava di fretta Carnevali, come tutti quelli che sanno di avere poco tempo a disposizione. Del resto si sa: I belli muoiono giovani/ e lasciano i brutti alla loro brutta vita». Emidio Clementi