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Il regno di Napoli era arretrato e povero, ma aveva una capitale che era una metropoli. In essa si concentrava tutta la rendita del reame. Questa condizione privilegiata portava la città partenopea a essere un centro di cultura, ricco anche di una fiorente attività tipografico-editoriale. Rispetto a questo generalissimo scenario di fondo, lo studio che qui segnaliamo prende le mosse dalla restaurazione borbonica del 1815 e segue le vicende dell'editoria napoletana fino a dopo l'unità. La periodizzazione su cui fa perno è segnata da una duplice cesura. Da un lato, il regime restrittivo instaurato da Ferdinando IV all'indomani della fase napoleonica. La politica del nuovo sovrano era tesa a rimuovere la circolazione di libri e documenti "pericolosi", stabilendo un severo regime di censura e di controllo occhiuto sull'intera produzione libraria. Dall'altro lato, l'unificazione nazionale del 1861, che porta all'affermazione di un regime di libertà di stampa. Questa grande conquista si accompagna però alla perdita del ruolo di capitale e dell'indotto economico a essa legato. Fatto che provoca uno sconvolgimento nel sistema produttivo della stampa, che conosce una profonda ristrutturazione. Nel complesso si tratta però di una crisi di adattamento, che nel corso di alcuni decenni vede emergere una rete di stampatori ed editori napoletani proiettati su un mercato e una circolazione nazionali. Questa ricerca, più diffusa sulla fase borbonica ma non priva di approfondimenti anche sul periodo successivo, tiene egregiamente insieme diversi livelli di indagine: il quadro legislativo, l'ambito più propriamente economico, quello culturale visto non solo nella sua realtà alta, ma attento anche ai profili sociologici della circolazione e del consumo librario indagato nei suoi vari settori.
Maurizio Griffo
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