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Trent’anni e trenta giorni. Tanto tempo è passato da quel maledetto 4 giugno 1989, però il tempo non ha cancellato l’orrore per la strage di piazza Tienanmen a Pechino. Il sogno di libertà cullato da migliaia di studenti, operai e intellettuali venne soffocato nel sangue, ma il regime cinese nulla può sulla memoria di chi ancora ha voglia di ricordare. Lo ha fatto sino al suo ultimo giorno di vita, sino al 13 luglio di due anni fa, lo scrittore dissidente e premio Nobel per la Pace Liu Xiaobo che ha dedicato a quel tragico evento – «Qualcuno è impazzito/ha costretto la terra a giocare con lui/il gioco dell’assassino» – la raccolta di versi Elegie del 4 giugno (183 pagine, 16.50 euro) pubblicata dall’editore Lantana.
A ogni anniversario del massacro, Liu Xiaobo scrisse un breve componimento. Così nel ’90, dal carcere di Quincheng dov’era stato recluso dopo i fatti di Tienanmen: «Fuoco…uccidete/Uccidete…fuoco/Petizioni di pace e indifesi/capelli bianchi con le stampelle e manine afferrate al bavero di una giacca/non potranno mai convincere il boia/Gli occhi ardono rossi/Le canne dei fucili sparano rosse/Le mani si tingono di rosso». La Storia, comunque, fa giustizia di martiri e carnefici: «Chi ha fuggito la libertà vive ancora/ma la sua anima è morta nel terrore/Chi brama la libertà è morto/ma la sua anima vive nella rivolta».
È stato il Dalai Lama a firmare la prefazione alle Elegie. La guida spirituale buddista definisce il movimento democratico del 1989 “uno dei più commoventi e incoraggianti eventi della storia recente cinese”. Quindi, sottolinea l’impegno civile di Xiaobo: «Nel 2008 mi hanno commosso e incoraggiato le centinaia di intellettuali cinesi e di cittadini che, spinti da Liu Xiaobo, hanno sottoscritto Charta 08, un manifesto per la democrazia e la libertà in Cina. Anche la comunità internazionale ha riconosciuto il prezioso contributo di Liu Xiaobo nell’esortare la Cina a compiere passi in avanti attraverso riforme politiche, legali, costituzionali e ha sostenuto l’assegnazione al poeta del Premio Nobel per la Pace 2010».
Recensione di Gerardo Marrone
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