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Elementi di psicoanalisi - Edoardo Weiss - copertina
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Dettagli

1985
1 maggio 1999
XLIV-214 p.
9788876920257

Voce della critica


recensione di Ranchetti, M., L'Indice 1985, n.10

"Un grazie cordiale per la vostra partecipazione alla celebrazione del mio ottantesimo compleanno. Sotto la vostra guida, gli analisti d'Italia hanno dato una testimonianza particolarmente significativa della loro appartenenza alla comunità analitica. Il nome Edoardo Weiss assicura un ricco futuro" (1936).
È l'ultimo scritto di Freud che figura nel libretto di memorie "di un pioniere della psicoanalisi", pubblicato nel 1970 da Edoardo Weiss, l'anno stesso della sua morte. Il libro si chiude con il forzato esilio di Freud da Vienna e di Weiss da Roma. Il "ricco futuro" della psicoanalisi in Italia è stato interrotto, o affidato ad altri, il pioniere ha scritto più di cento saggi ed alcuni libri, prima dell'esilio e durante il suo esilio in America. Ma la sua fama italiana è dovuta a un libretto che si ripubblica oggi, a più di cinquant'anni di distanza. Se ne possono ricercare le ragioni anche rileggendo questa esposizione ufficiale e legittima, riedita con un'accurata e generosa presentazione di Anna Maria Accerboni Pavanello, insieme con la "Dichiarazione dei termini propri della psicoanalisi", primo modello di una costruzione di terminologia definitoria della psicoanalisi in lingua italiana e forse il maggior contributo di Weiss.
La prima edizione degli "Elementi di Psicoanalisi" apparve nel 1931, la seconda un anno dopo, "migliorata e corretta", la terza, semplice ristampa della seconda con pochissime varianti di carattere formale, nel 1936. L'edizione del 1931 - che ora viene ristampata - e doppiamente "autorizzata": per la prefazione di Sigmund Freud (in realtà una raccomandazione non necessaria "perché l'opera si raccomanda da sé" - Freud non esprime, qui, alcun giudizio) - e perché pubblicata nella serie dei Manuali Hoepli, "Editore Libraio della Real Casa", una serie che accoglieva esempi, alcuni anche curiosi, di una cultura a cui nulla sembrava impossibile perché tutto si può apprendere, la musica, la pittura, la psicoanalisi. Essere pubblicati nei manuali Hoepli rappresentava quindi per la psicoanalisi, e per Edoardo Weiss, l'ingresso in una certa ufficialità del sapere, in ogni caso l'acquisto di una legittimità e l'abbandono, forse neppure previsto, di una esotericità non più necessaria. La pubblicazione del volumetto era stata quasi imposta a Weiss dal grande successo delle sue conferenze, tenute per incarico della presidenza della Associazione medica triestina; affollatissime e recensite sui giornali locali, esse erano servite a rimettere ordine nel "concetto" della psicoanalisi, dopo l'ingresso in merito di un balordo non autorizzato, tale Silvio Tissi che, non si sa bene per quale sua fortuna, era stato invitato dalla stessa associazione medica a parlare della psicoanalisi.
Edoardo Weiss, tuttavia, era davvero autorizzato a parlare di psicoanalisi. Giovanissimo, era nato nel 1889, a Trieste, aveva sentito parlare di Freud da un suo amico (poi morto, volontario nell'esercito italiano, nella prima guerra mondiale), già nel 1906. Aveva subito ordinato "L'interpretazione dei sogni", ma il libraio s'era sbagliato procurandogli invece, "La Gradiva".
Già nel 1908 Weiss veniva ricevuto da Freud, nella Berggasse 19. Il primo incontro ha il carattere proprio delle fiabe: Freud è, a sottolineare l'unicità dell'episodio, eccezionalmente senza barba, nel salotto Weiss trova un bambino, il piccolo Hans, ad esprimere l'accordo fra storia clinica e realtà. Dopo alcuni anni la sorella di Weiss incontrerà a sua volta nello studio di Freud il piccolo Hans che, diventato adulto, ha letto la sua storia e viene a salutare il maestro: Pinocchio visita Collodi. Pochi anni dopo, Weiss è in analisi con Federn, nel 1913 è già membro della Associazione e partecipa alle sedute del mercoledì. Vi terrà una relazione.
Inizia così e viene così illustrata e percorsa, una carriera esemplare di seguace e di pioniere. Dopo la partecipazione nell'esercito austriaco alla prima guerra mondiale, Weiss si fisserà a Trieste, e inizierà la professione. Si consulterà spesso con Freud e con il suo analista e secondo maestro, Federn. Pubblicherà l'opera di Federn e, per suo incarico, nel 1951, le lettere di Freud, insieme con i suoi ricordi, solo l'ultimo anno di vita, nel 1970, ma queste lettere, queste consultazioni, questa carriera si riflettono anche nell'esposizione in apparenza neutrale degli "Elementi".
In realtà Weiss non nasconde sotto la sua precisa reticenza, gli elementi della sua formazione e i momenti della storia del movimento psicoanalitico che hanno determinato, e per sempre, la sua figura. Confrontando gli "Elementi" con le lettere e i commenti ad esse, nella prospettiva dei suoi ricordi, emergono infatti quelli che si vorrebbero quasi definire i processi primari della sua biografia intellettuale. Nelle memorie, l'incontro con Freud è quasi sempre "contraddetto" dall'incontro con altri, e in particolare con Federn: la doppia relazione Freud-Federn è sempre corrispondente alla doppia relazione Federn-Weiss, ed essa è posta sotto il segno della fedeltà, quasi che ciò che Federn è stato per Freud, Weiss debba esserlo per Federn, nella tradizione analitica del Doppelgänger.
Ma la fedeltà è sempre accompagnata nelle memorie (Freud come consulente) ma anche negli "Elementi", ad un "atto" ("ägieren") sacrificale. Così Federn viene descritto mentre, penosamente, cerca dl illustrare le sue varianti teoriche ad un uditorio che, giustamente, non capisce mentre sempre nelle memorie i dissidenti vengono visti con simpatia ambivalente.
In realtà, le memorie gravitano attorno ad un nodo preciso: la relazione con il padre. E, per Weiss, si tratta di un doppio padre: Freud, per quanto riguarda le nevrosi, le malattie curabili, anche solo per pazienti "che ne valgono la pena" e Federn, per quanto riguarda le psicosi, che Freud non ascrive alle malattie curabili. Freud sarà consultato per le prime, Federn per le seconde, ma alla doppia consultazione (e alla doppia relativa paternità), corrisponde anche un'estensione dell'interesse per "l'io" da parte di Federn (e di Weiss).
Questa differenza apparirà in modo quasi drammatico negli "Elementi". Quando Weiss scrive gli "Elementi", è già il rappresentante ufficiale della psicoanalisi in Italia. Lo sapevano quasi tutti, le resistenze ("la storia del movimento psicoanalitico è la storia delle resistenze alla psicoanalisi"), sembravano vinte, Freud lo designava come pioniere, come "anima" della già costituita Società psicoanalitica italiana, da parte di Levi Bianchini (un Carneade) a Nocera Inferiore nel 1925. È la grande occasione. Con l'autorizzazione di Freud, riprodotta in fac-simile, la psicoanalisi avrà il suo manifesto ortodosso, la trasmissione diretta del verbo, una conferma ed una forma esplicita. E Weiss parla. La struttura dell'esposizione, in cinque conferenze, non corrisponde ad un modello, n‚ Weiss pretende ad una completezza, anzi, il carattere discorsivo e piano gli consente di non esporsi a pretese di sistematicità. Le cinque parti riguardano: "Che cos'è la psicoanalisi?" "Il concetto dell'Es e dell'inibizione inconscia", "Simbolismo. Introduzione al concetto del Super-Io"; "Origine del Super-Io e dei sentimenti sociali e religiosi"; "La teoria degli Istinti"; "I sistemi psichici. Elementi di psicopatologia e terapia psicoanalitica". Nella seconda edizione, mentre le altre subiscono varianti minori, alla prima lezione Weiss sottrae quello che forse è un suo contributo teoretico maggiore e la sua maggiore differenza da Freud; il concetto di Es inibitivo (e la partizione dell'Es in es inibitivo e degli istinti).
Le ragioni di questa drastica sottrazione di ciò che è più dl un artificio concettuale, sono date da Weiss nella prefazione alla seconda edizione: "Ho soppresso il termine 'Es inibitivo' per non ingenerare confusioni circa il concetto di 'Es': nell'edizione precedente m'ero lasciato indurre a sacrificare tale esattezza a delle preoccupazioni di natura didattica. Oggi invece preferisco richiedere al mio lettore un po' più di serena attenzione". Ma sono ragioni reticenti: il "sacrificio" può essere interpretato e illustrato in modo ben diverso se si richiama alla memoria qualche momento dell'esperienza di Weiss e di altri primi seguaci (il rapporto con Freud, l'obbedienza ideologica e le libertà difficili della costruzione teoretica "autonoma"), se si ricorda in particolare che lo stesso Freud, e proprio in una lettera a Weiss, di questi anni, riconoscerà che la concezione precedente del sistema dell'inconscio "è sostituita ora da quella dell'es, dal momento che la qualità di essere inconscio si è mostrata logicamente malfida come segno distintivo".
Ben più di queste differenze teoriche, tuttavia, a cinquant'anni dalla sua prima edizione la rilettura degli "Elementi" interessa per l'immagine che essi hanno voluto offrire della psicoanalisi, nella prima (e unica) occasione ufficiale, da parte del rappresentante autorizzato, in Italia, nel 1930. La psicoanalisi, per Weiss, "è una scienza ausiliaria della medicina, come l'anatomia, la fisiologia, ecc.". D'altra parte, "essa si applica anche a varie altre manifestazioni dello spirito, che con la medicina non hanno nulla da fare". Poche righe più sotto, la "psicoanalisi arricchisce le possibilità dell'orientamento medico" e di questo accrescimento qualitativo Weiss intende parlare. Poche righe più sotto, ancora, la "psicoanalisi è psicologia trattata come scienza naturale", anzi è "vera psicologia". È un'immagine, se non consolatoria e gratificante, certo non minacciosa di una buona 'nuova scienza', ben lontana da quella mutazione dei valori correnti e delle abitudini di pensiero che Freud aveva indicato nelle sue "Lezioni". Questa psicoanalisi non promette "la salute psichica a innumerevoli ammalati", come invece vuole la sovracoperta della seconda edizione, ma non ripristina neppure una contraddizione fra le diverse scienze, non postula neppure lontanamente il proposito di sostituirsi ad esse, non ravvisa alcun pericolo nelle possibili alleanze reciproche. Inoltre non entra neppure nel merito di un carattere necessariamente eversivo della psicoanalisi rispetto al sistema dei valori in atto, alla civiltà presente, e in particolare all'assetto autoritario del paese in cui essa si propone di operare. È una psicoanalisi che già protegge se stessa, che sembra rinunciare ai suoi grandi interessi, in un discorso sensato e coerente, in cui libido e inconscio, io es e super-io non hanno un rilievo drammatico ma rispettano il proprio ruolo di protagonisti di una società, di una storia civile. La stessa sessualità infantile è trattata in poche righe, l'eventuale seduzione dei figli da parte dei genitori è nominata come possibile, ma da parte di "persone incoscienti" - senza ironia -, l'applicazione della psicoanalisi alle "varie" altre scienze - e alla stessa storia dell'uomo (la metapsicologia) ha appunto il carattere, già di per sé riduttivo rispetto all'enfasi originaria, di "applicazione".
In altri termini, questa psicoanalisi, se non e ancora una professione come un'altra, non è già più un progetto. E in questo senso, gli "Elementi" di Weiss rappresentano e rispecchiano la gravissima crisi del movimento psicoanalitico negli anni trenta. Sotto la minaccia concreta e sempre crescente dei fascismi razzisti europei, gli psicoanalisti di Vienna e di Berlino avevano iniziato l'esodo e chi rimaneva o si riduceva all'esercizio privato della professione o riduceva le proprie manifestazioni di intransigenza, o passava decisamente all'attività politica. Reich, Fenichel ed altri si riconoscevano, ancora per qualche tempo, in un'alleanza eversiva altri, nell'emigrazione, in particolare in America, si trovavano costretti a rinunciare ad alcuni caratteri della propria cultura psicoanalitica, poi rimasti per sempre dimenticati, se non rimossi. Forse, rispetto a questa migrazione della psicoanalisi, Weiss, ancora per qualche anno in Italia ma già segnato come antifascista, già minacciato nelle sue attività, ha voluto presentare, come membro del movimento psicoanalitico - più che come singolo psicoanalista triestino - alla cultura del tardo idealismo una visione non proprio idillica e non falsata ma riduttiva e solo plausibile della psicoanalisi, nel proposito, già comune a molti psicoanalisti non ancora emigrati, di poter perdurare, di poter resistere anche sotto le dittature: essi, e la loro scienza.
Qualche anno dopo, redigendo per l'Enciclopedia Italiana le voci: psicoanalisi, psicoterapia, Freud, Weiss sarà più rigorosamente freudiano. La psicoanalisi ha perso qualsiasi rapporto di dipendenza con la medicina e, anche un rapporto privilegiato: "è un metodo d'indagine di processi psichici, un metodo di trattamento di affezioni psichiche, una serie di nozioni psicologiche" ed è "Scienza psicologica fondata da Sigmund Freud". La rinuncia all'es inibitivo e la definizione più rigorosa corrispondono forse al proposito di ripristinare e di trasmettere un'immagine della psicoanalisi più prossima all'ortodossia freudiana: il pioniere della psicoanalisi in Italia deve abbandonare per sempre la sua terra di conquista.


recensione di David, M., L'Indice 1985, n.10

Weiss è l'unico italiano ad aver ricevuto direttamente il potere analitico dal Fondatore stesso, tanto da trasmettere, anche se solo con una stretta di mano, a volte, il crisma ai primi discepoli della seconda generazione, e "per li rami" a quelli della terza, quarta e già ora della quinta generazione degli analisti freudiani Italiani. Egli é dunque il primo solido pilastro, con altri meno sicuri puntelli (alcuni debolissimi: Levi Bianchini a Nocera; alcuni di complesso equilibrio: Benussi a Padova) di un ponte che sarebbe stato esposto ad artificieri potenti: psichiatri (fra i quali il triestino Tanzi, zio della Mosca montaliana), psicologi sperimentali o neurologi. Da questa consacrazione ortodossa di primogenitura sarebbe nata la prima vera Società italiana di Psicoanalisi nel 1932 a Roma (quella del 1925 era un fantasma) e rinata, dopo la tempesta antiebraica del '39, nel 1947, l'attuale S.P.I. Come doveva nascere, da un altro unto diretto, cresimato da Fenichel e da Jung, Ernst Bernahrd l'Associazione italiana per lo studio della psicologia analitica (1961).
Guido Voghera, in una nota testimonianza, ha iperbolizzato il "ciclone" psicanalitico triestino degli anni Venti. È lecito forse avere una più riduttiva visione: come mai, infatti, i grandi intellettuali triestini, a parte Svevo e Saba, non hanno pubblicamente segnalato l'arrivo e il risucchio di quel tifone? Come mai, a Trieste, nel 1930, si chiama l'incompetente Silvio Tissi a spiegare la psicanalisi, e non Weiss, tanto da costituire l'"occasione" degli "Elementi di psicoanalisi"? Trieste deve buona parte della sua attuale, tarda, gloria culturale danubiana ai profetismo isolato, sfiduciato, di Weiss. Questi, stanco di una clientela parsimoniosa ma pressante che lo faceva lavorare dodici ore al giorno, poteva certo vantare, già nel 1925, dodici bei casi di agorafobia e la analisi di 6.000 sogni (circa due al giorno, dal 1919). Ma nel 1931 si recherà a Roma, - non a Firenze come i suoi coetanei letterati -, per fuggire, da "socialista austriaco, il fascismo ufficiale dell'ospedale psichiatrico dove lavorava, e dedicarsi alla diffusione della psicoanalisi da una sede più illustre. Trieste gli aveva offerto, se non la sua popolazione italiana, e meno ancora slava, una clientela ebraica di notevole livello culturale, attratta da una terapia esoterica, e per i migliori, da una forma moderna di religiosità laica in sostituzione dell'ebraismo tradizionale per loro in crisi.
A Roma, dal 1931 al 1939, a Chicago dal '40 alla morte (1970), Weiss offre la particolarità, dolente per lui ma eccezionale, di una poliglossia analitica che lo costrinse ad associazioni e connotazioni viennesi (il primo cliente era figlio di un rabbino a Vienna), triestine, italiane (romanesche?) americane. Un "tour de force". Nei ritagli di tempo, sull'esempio dei primi analisti viennesi, egli scriveva con scrupolo recensioni, articoli, rapporti di congressi, volumi, in tedesco, italiano, americano. Sarebbe augurabile che la pertinente ed appassionata curatrice degli "Elementi" ci desse una silloge di questi testi irreperibili, come sarebbe stato utile che gli editori ne avessero incluso già la bibliografia - e la seconda versione del primo capitolo - in appendice.
Weiss é rimasto ingiustamente in ombra sulla scena internazionale. Non é poi che fosse noto in Italia, all'infuori di una cerchia ristretta, e gelosa di confidenze. Il segreto professionale ci toglie per sempre una fonte d'informazione privilegiata su parecchie personalità, suoi pazienti. Chissà che Anna Maria Accerboni riesca a completarne la rassegna: Bruno Veneziani (cognato di Svevo e suo primo informatore su Freud o - Steckel), Saba e la figlia Linuccia, A. Mayer, Alexandre Hérenger - poeta delfinese amico di Berneri-, Bazlen - già iniziato dall'amico Spitz, futura gloria pediatrica, allora residente a Trieste-, E. Morpurgo, L. Stock, Wanda Weiss, Flescher, una figlia di G. Forzano, forse qualcuno del gruppo della rivista "Il Saggiatore", nucleo del "Mondo" pannunziano, gli analisti Servadio, Merloni Perrotti (?), Rieti, l'orientalista "Frank" e forse gli amici citati da Voghera, E. Levi, Simonis, Frankel. Del resto, nel 1953, il giornalista Roditi lamentava il disinteresse del Weiss esule per questi brillanti ricordi. Considerava forse allora l'Italia come refrattaria per sempre a Freud? Avrebbe sbagliato.
Nei suoi anni italiani, travagliati dall'ostilità di tante forze corporative, Weiss difficilmente poteva avvertire quello che Musatti ha chiamato un "contrabbando" sommerso del freudismo. L'interesse all'esplorazione spregiudicata di sé é nell'età moderna privilegio di chi assume il ruolo di esprimere desideri e disagi del proprio tempo, l'artista, lo scrittore, contestatari per funzione. L'Italia mancava forse di "istituzioni" per convogliare i conati eversivi di questo anarchismo borghese. Eppure vi furono dei marginali ideologici come Berneri, Tresso, Curiel, Colorni, per tacere di Gramsci, che vollero confrontarsi con la sfida freudiana; delle menti tormentate come Tissi, Evola, Hasselquist per giocare con essa; dei narratori come Svevo, primo romanziere "analitico" europeo, Tozzi, M. Puccini, Moravia, Gadda, Landolfi, Savinio, De Chirico, C. Levi, Pavese, Soldati, l'ultimo Brancati, il Berto di dopo il "Male oscuro" (1964), Quarantotti Gambini, Bassani, Lampedusa, G. Morselli, Ottieri, Volponi, C. Villa, dei poeti come Campana, Saba - primo poeta analizzato d'Europa, credo -, Penna, Pasolini, Zanzotto, Sanguineti, A. Porta, Viviani, dei critici come Solmi - promotore presso Hoepli proprio degli "Elementi", ottimo affare editoriale del resto, e testo che Montale leggeva con ambivalenza tanto da farsi sconsigliare un'analisi dallo stesso Weiss-, Debenedetti, l'"inventore" del freudismo letterario triestino, U. Barbano, Zolla, Arbasino, Albino Galvano (primo lacaniano), ad esprimere letterariamente - con ripulse parziali o tentativi di accostamenti, o con la terapia il loro interesse per la psicoanalisi.
Poi, dal 1960, con esplosioni di entusiasmi a volte aberranti nel '68-69, e con un crescendo informativo ed ideologico fino al '77, tutte le correnti della psicoanalisi mondiale furono convulsivamente ricuperate dagli editori e nei dibattiti culturali in Italia. Sarebbe attraente, ma arduo (mi ci sono provato di scorcio nella "Histoire de la Psychanalyse", a cura di R. Jaccard, 1982), raccontare la storia di quegli anni psicoanalitici, degli assestamenti e poi dei dubbi negli anni '80. Si vedrebbero le mutazioni delle diverse società psicoanalitiche: i freudiani, con Klein e Winnicott o dissidenti istituzionali o terapisti eterodossi; i lacaniani con nuclei pensosi ("Il Piccolo Hans") o altri più "tissiani"; i reichiani vesuviani e corporali; gli adleriani più discreti; gli junghiani con solidi apparati e osmosi freudiane originali. Dalla cinquantina di analisti di ogni tendenza del 1954, si è passati nel 1980 ai circa 700 ufficialmente contabilizzati. Weiss se lo sarebbe augurato, ma così?
Certi caratteri originali dello psicoanalismo italiano si sono rivelati: una larga informazione internazionale; una tendenza ad ecumenismi altrove difficili; un uso certamente più affabile del transfert in confronto ai puritani protocolli nordici; una sottigliezza metapsicologica di raffinata scolastica sul "sesso degli angioletti" (gli stadi preedipici); una stimolazione alla socializzazione (famiglia, gruppi, istituzioni) derivata da un contesto culturale marxistico e dalle sfide di quell'inconsapevole figlio di Freud che fu il "triestino" Basaglia, un posto sorprendente fatto a Reich (dal 1961); confronti teorici con marxismi sofisticati, o delusi, dopo i bandi per "alienazione" borghese; il trapianto schietto delle tematiche analitiche nel cinema; le inattese malattie della "sanità latina" in via di urbanizzazione; teorie originali (Fachinelli, Fornari, Gaddini, Matte-Blanco, Montefoschi) apprezzate all'estero.
L'onda d'urto ormai avvertita in tutte le scienze umane, se non "dello spirito", tranne che nelle facoltà umanistiche dove rimangono forti resistenze agli usi ermeneutici analitici, ha fatto sorgere da pochi anni un fondo comune di ispirazione, di tecniche espressive, di "topoi" intellettuali o critici, ormai quasi logori. I non numerosi psicocritici, spesso cresciuti, si noterà, sul terreno delle letterature straniere, hanno dato frutti brillanti, freudo-kleiniani specialmente, altri in campo semiologico, o strutturalistico (la scuola di Francesco Orlando è molto citata), o lacaniani più cauti ormai. Ma dove, in Occidente, si potrebbero indicare, in pochi anni, romanzi così variamente, ma pure così sfrontatamente, "di psicoanalisi" come quelli di Ottieri, F. Vincenti, M. Miccinesi, B. Garuffi, Fornari, Gramigna, A. Paolini, Kaufmann, Morandini, Camon, Paris?
Si può fantasticare: se Weiss "scrittore" della diaspora triestina pure lui, fosse venuto nel 1982 a Roma avrebbe assistito soddisfatto al Congresso solenne dei cinquant'anni della "sua" Società, con Pertini patrono. A Trieste, invece, avrebbe sì trovato all'università, dove non insegn• mai, una targa commemorativa di Freud e del Congresso Weiss del 1968, l'odiosamato frenocomio in disarmo, l'affetto erudito e perspicace di Anna Maria Acerboni dagli studi della quale ho tratto molte mie osservazioni, alcuni vecchi amici; ma, se devo credere ad uno di questi, Giorgio Voghera, non avrebbe scoperta neppur l'ombra di uno psicoanalista autoctono in esercizio.

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