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Antonella Moscati ricostruisce, contro l’interpretazione di Binswanger, la figura inedita di questa “paziente-autrice”, perseguendo un duplice obiettivo: cederle la parola per mostrarne la lucidità; e mettere in evidenza il torto subito da parte di una psicoanalisi alle prime armi e di terapie psichiatriche vaghe, all’interno di un universo tutto maschile che ha fatto ben poco per impedire un suicidio annunciato, sul quale non potevano non pesare gli atteggiamenti eugenetici che si venivano diffondendo in Europa negli anni immediatamente precedenti al nazismo.
«"Ellen West. Una vita indegna di essere vissuta" s'inserisce in un filone di controlettura culturale della tradizione primonovecentesca della psichiatria e della psicoanalisi» – Vittorio Lingiardi, Il Venerdì – la Repubblica
Nel gennaio del 1921 viene ricoverata nella clinica di Ludwig Binswanger, a Kreuzligen, una donna ebrea tedesca affetta da una grave forma di anoressia. La paziente, che aveva intrapreso in precedenza due brevi terapie psicoanalitiche – entrambe interrotte in maniera drammatica – si suicida nell’aprile successivo, all’età di trentaquattro anni. Più di vent’anni dopo, Binswanger si dedicherà alla scrittura del caso di questa donna, alla quale attribuirà il nome fittizio di Ellen West. Nel 2007 è stata pubblicata in Germania gran parte dei suoi scritti: poesie, diari e lettere che contengono pagine bellissime e coraggiose sulla sua sofferenza e sulla sua malattia, della quale sono state formulate le diagnosi più varie – melanconia, nevrosi ossessiva, schizofrenia – mai però quella di anoressia.
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